mandag 23. juli 2012

Defining us

Black Oak Ranch,Oak Town, 2437

-Dove state andando?-
Cecilia Ritter piombò alle spalle di Paul ("state" era ridondante) con una mano sul fianco.
- Puttanedaguerra.- protestò lui, trasalendo.- Sembri mia madre. E un po' anche la tua. E' inquietante, cazzo.-
- Dove vai? La festa non è finita.-
-Sì perché di solito noi restiamo fino all'ultimo. Fino alla preghiera di benedizione, eh?-
Noi. Di solito erano loro due.
Quando voleva, Paul sapeva essere cattivo.
No, non è vero. Era una cattiveria stolida e infantile, riuscita male.
-Comunque. Stiamo andando verso il fiume. Vieni? Oh, aspetta. Devi chiedere il permesso.-
Appunto.
- Quella che ti stai portando dietro è una cretinetta di Capital City che vuole solo divertirsi.-
- Ma va'.-
- E' venuta qui con Mary Keller.-
-Che è già sulla collina con Jaden, perciò...se hai finito il terzo grado, io andrei.-
Cecilia seguì le lunghe gambe di Paul scavalcare lo steccato con gli occhi stretti stretti e cattivi.
Quella era cattiveria come si deve.
- Gli verrà la sifilide.- decise.
- Non è un po' cattiva? Finisce che poi ha conseguenze sul cervello e ...no, non me lo ricordo, era l'esame complementare di malattie della Terra-che-fu.- Tristan emerse dall'ombra indolente, le mani nelle tasche.
Cecilia sghignazzò, voltandosi a guardarlo.
- Dovrebbe avercelo un cervello prima.-
-Mmmm- lui le offrì una sigaretta e gliela accese, prima di fare lo stesso con la sua.-Non è che tante volte sei nel posto sbagliato con la persona sbagliata?- chiese, tranquillo. Sembrava quasi più curiosità, la sua. Anche se Cecilia vedeva la patina sottile ed educata di irritazione che lo ricopriva ogni volta che aveva a che fare con Paul.
- Regola numero uno: Paul Carter sarà sempre giusto in mezzo tra me e te come tra me e chiunque altro.-
Tristan allargò le mani.
-Comandi, signora. Esiste una regola numero due?-
-Ci saltiamo la benedizione finale e andiamo a pomiciare al granaio.-
Tristan ridacchiò piano. Strinse la mano affusolata di Cecilia nella sua e la seguì, completamente in balia delle sue regole.

-Mi hai portata qui ssssolo per il ssssesso.- dichiarò allegra l'amica di Mary Keller.
-Dio mio, no.- le assicurò depresso Paul. Buttò giù un altro sorso di una birra troppo leggera mentre non le prestava attenzione. Più che altro, le lanciava di tanto in tanto un occhio per assicurarsi che non finisse nel fiume ubriaca da sprovveduta core quale era.
-Mmm e allora com'è che continui a farmi bere.- disse lei, l'occhio languido, l'equilibrio anche.
-Nella speranza che tu chiuda il becco.- le spiegò lui con dolcezza. Tanto la mattina dopo l'avrebbe dimenticato. Lei.
Lui se la sarebbe ricordata abbastanza da tenere a mente che doveva girarle alla larga. Lei e quella scema dell'amica sua.
Non aveva nessuna intenzione di accollarsi la forestiera, se ne stava andando al saloon in santa pace.
Ma poi...era stato precipitoso e Cecilia era stata determinante nel direzionare la sua fuga.
-Che accidenti vuole, ha il suo dottorino.- borbottò. L'amica di Mary Keller si lisciava i lunghi capelli da sirena. Si era seduta tra l'erba con fare regale. Per il momento era innocua.
Jaden avrebbe pagato, se mai fosse sceso dalla collina.
Gli sembrava di vedere un holofilm che cominciasse da un punto errato e proseguisse un po' a ritroso e un po' no. Era tutto sbagliato. Lui doveva essere sotto la Quercia con qualcun altro, rilassarsi, essere felice, godersi l'estate e non pensare a niente. E bere roba migliore di quella.
Fortunatamente non c'era lì un Tristan a fargli la domanda.
La risposta sarebbe stata sì: era nel posto sbagliato con la persona sbagliata.

torsdag 19. juli 2012

Strangers

Oak Town, 2437

Cecilia Ritter corse giù per le scale scalza, con la grazia animalesca di una ballerina e di un felino.
Era la quinta volta, quel giorno. Aspettava suo padre e doveva essere la prima ad aprirgli per fare ancora una volta il loro stupido gioco, come quando era bambina. Come ogni volta che lui rientrava da un incarico fuori.
Non era minimamente preparata al tipo che si trovò sulla porta e solo il cielo sa di quanta preparazione avesse bisogno.
Uno straniero- un affascinante straniero - stava appeso al soprassoglio e quasi lo sfiorava con la testa. Indossava abiti indubitabilmente core, dalla camicia dal colletto coreano, alla giacca, ai pantaloni, alle scarpe, che non erano i soliti terribili, terribili anfibi cui era tanto affezionato.
-Paul.-
E' vero: Cecilia lo disse in modo molto poco lusinghiero, quasi dubitasse che dietro a tanta figaggine potesse esserci proprio il suo compagno di giochi.
Lo straniero rise, con la voce e quel modo peculiare di Paul, che spingeva la risata su per gli zigomi alti fino agli occhi di un azzurro strano.
Lo straniero aveva anche una mano enorme, e fece il solito gesto rituale di spalmargliela in volto a mo' di brutale carezza, quello con cui si riappropriava di lei, dell'estate, di Oak Town, ogni anno.
- Quanto sei bella, a bocca aperta come una trota.- la canzonò.
Cecilia chiuse la bocca. Guardò i suoi capelli cortissimi, ridotti a uno strato leggero di peluria dorata sotto i raggi del sole morente. I baffi- gli immancabili baffi- la barba, erano un velo curato e appena accennato. Cecilia provò come al solito l'impulso di soffiare per pulirgli il volto.
Gli tirò un pugno nello stomaco. Era rituale anche quello, ma si accorse che lui aveva rinforzato parecchio la difesa addominale.
-Quando sei arrivato.-
-Ora.-
In anticipo. E Cecilia capì che era andato lì dritto dallo spazioporto. Ecco perché indossava ancora abiti core. Si scostò per lasciarlo passare e per riorganizzare in silenzio i suoi organi interni sottosopra. Credeva di avere almeno un altro paio di giorni di tempo, per allestire le difese. Non si vedevano dall'estate precedente. Da quando avevano sputtanato tutto. O meglio: da quando lui aveva mirabilmente sputtanato tutto, l'ultimo giorno. Aveva paura. Tanta.
Così tanta che a Natale aveva temporeggiato fino all'ultimo, prima di scoprire che Paul non si sarebbe allontanato da Gandhi per via del suo addestramento, tirare un sospiro di sollievo e prendere l'ultima nave che la portasse a casa sotto l'albero.
Paul non si mosse dalla soglia.
-Ciao, Eir.- salutò alzando la voce. Easy. Eir era easy. -Tuo padre c'è? -chiese subito dopo.
Suo malgrado, Cecilia ghignò.
-Sì- mentì con prontezza.
-Mi accompagni a casa?-
-Le due cose sono correlate?- domandò lei divertita.
Lui sorrise con indulgenza accettando le sue prese in giro. Era già a casa.
- Sallie si è fatta scappare con mamma che tornavo oggi. Credo abbia consultato compulsivamente tutti gli orari e se non mi vede arrivare per quando si aspetta ci troviamo i federali a circondarti casa.-
Cecilia rise. Era da Quinn.
- "...è...alto, e grosso, e muscoloso, e ha il porto d'armi e sta studiando per diventare un tiratore...ma vi prego, trovatelo, è così indifeso... non potete lasciarlo là fuori tutto solo...è quasi buio!"- la imitò Paul alla perfezione.
Anche Eir rise, dal piano di sopra.
Cecilia aveva dimenticato per un momento l'angoscia.
Non aveva fatto altro che sognare le sue ultime parole, in quei giorni.
Conosceva Paul come le sue tasche: era un idealista romantico, un adorabile idiota. Come minimo si aspettava di vederlo comparire fervente d'immutato amore e con una proposta di matrimonio.
Invece, si era dovuta ricredere. E si era rilassata.
Prese le chiavi della motorbike.
-No, che fai. A piedi.- impose lui.
Cecilia piombò nel panico di nuovo chiedendosi perché volesse passeggiare con lei e azzardò un paio di risposte per nulla consolanti.
-Dai, muoviti. Che sei diventata mentre non c'ero?-
-Hey, piantala di fare l'atletico- lo avvertì, mentre si richiudeva la porta alle spalle senza riuscire a lasciare in casa il magone.
Paul le prese la mano in un gesto naturale e abitudinario. La guardò quando la sentì irrigidirsi.
-Sul serio non ti va di camminare?- le chiese, perplesso e premuroso.
Adorabile, adorabile ingenuo.
- Sei un bamboccio in un corpo enorme, Carter.-
- Grazie, ma non ho ancora nominato le tue tette, a che devo l'onore?- chiese quieto e divertito.
Cecilia chiuse a chiave ogni pensiero nel cassetto dei calzini e si aggrappò al suo braccio.
Era felice di vederlo. Era felice che fosse lui.

Con grande sollievo di Cecilia, era tutto normale.
Avevano proseguito per un bel tratto, raccontandosi di tutto. Si tenevano per mano, costeggiavano il sentiero camminando sui due margini opposti, si spintonavano in ogni occasione, si insultavano e tornavano a cercarsi.
Non aveva mai sentito Paul tanto loquace e un po' amava e un po' temeva quella luce vagamente fanatica nel suo sguardo.
-...e la tenda?-
Non si era accorta di quanto vicini fossero alla Quercia, finché il tono da bambino deluso di Paul non l'aveva  richiamata alla realtà. Avvampò, ma mantenne il controllo.
-Beh, ti aspettavo, no?-
No. Di solito la montava chi arrivava per primo. Era il regalo di benvenuto per l'altro.
Cecilia non l'aveva fatto di proposito. Nel senso: l'aveva fatto di proposito a non montarla. Non sapeva ancora quanto profonda dovesse essere la distanza tra loro due per riuscire a salvare tutto.
Paul la guardò per un attimo senza dire niente. Era un uomo, ormai.
Si lasciò cadere tra l'erba e si sfilò le scarpe.
Beh, a tratti, non sempre.
Cecilia rimase interdetta per un solo attimo, poi lo imitò e fece un sacco prima, visto che portava pratici sandali da rally.
Anche il primo bagno di stagione era un rito. Doveva avvenire a poche ore dalla ricongiunzione, per sancirla definitivamente.
Paul si rialzò aggrappandosi all'erba con i piedi nudi.
-Che bella...sensazione.- dichiarò, respirando solo allora a pieni polmoni. Si sfilò la giacca di ottima fattura facendosela roteare sopra la testa e lasciandola volare lontano con estrema noncuranza.
Cecilia rise e corse spontaneamente a sbottonargli la camicia.
Brutta, brutta cosa. Se ne accorse troppo tardi. Era un gesto così noto. E così sbagliato.
Paul le aveva stretto il polso per fermarla prima di potersene accorgere. Sicuramente aveva rievocato in lui gli stessi pensieri, le stesse sensazioni. Si erano guardati senza fiato.
Cecilia si era dedicata a sbottonare la propria camicia enorme, che portava a mo' di vestito. Sotto, aveva sempre il costume. Corse in acqua per prima per annegare e lavare via quell'attimo di imbarazzo.
-Stasera c'è una festa al Black Oak. Andiamo?- la voce tremava un po' nel suo bislacco tentativo di tornare a era tutto normale.
Paul fu invece costretto a tenere i pantaloni core. La seguì, entrando piano nel fiume.
Era così strano: così diverso e così sempre lui.
-Sì, va bene. Non ho ancora salutato la zia Roona.- spiegò, guardando accigliato la superficie dell'acqua. Dopo un momento di cipiglio ostile, si tuffò con una certa eleganza per uno grosso come lui.
Cecilia si guardò intorno, seguendolo a stento sotto il pelo dell'acqua. Non fece in tempo a voltarsi, che si sentì sollevare sulle sue spalle. Come al solito.
-HIGHASAKITE!- pronunciò Paul a mo' di grido di guerra. Cecilia stava ancora ridendo senza ritegno quando fu alla lettera lanciata in acqua e stava ancora ridendo quando riemerse cieca e sputacchiante.
La risata grossa e profonda di Paul si unì alla sua mentre la recuperava per evitare che affogasse.
-Sembri una ninfea rachitica.- le fece presente lui osservando il cespuglio di capelli pressoché impermeabile all'acqua. L'intenzione era quella di scostarle ciocche ricce dal volto e si ritrovò col suo viso tra le mani. Col suo viso pericolosamente vicino. Con le labbra che quasi sfioravano le sue.
-Ti faccio conoscere Tristan, stasera.-
-Tristan.-
-Sì-
Paul la guardò negli occhi per un momento solo e la lasciò andare.
Ecco. La parte in cui doveva spezzargli il cuore e pulircisi i piedi era quella che Cecilia preferiva meno, del suo piano geniale. Il resto, poteva funzionare alla grande.
- Un altro bullo sensibile?- chiese Paul, algido.
Sapeva essere cattivo in un modo che arrivava dentro, nel profondo, e usciva dalla schiena.
- No. E' il nuovo veterinario del Black Oak.Ci frequentiamo da un po'-
Non era proprio vero, ma data la cotta che lui dimostrava d'essersi preso, non le sarebbe stato difficile accelerare le cose e salvare Paul. Il suo Paul, quello che voleva per sé tipo per sempre. Senza il rischio di complicazioni.
Paul sollevò un sopracciglio serico. Non disse niente.
Spezzargli il cuore e calpestarlo. E assistere, impotente.
-Sali. - le ordinò lui burbero.
Cecilia impiegò un istante a capire che parlava delle sue spalle.
-Andiamo a casa via fiume?- chiese, stupita. Lo adorava, ma si era anche aspettata che Paul la piantasse lì invece di consentirle qualcosa che le piaceva tanto.
- Mhmh.- confermò l'ovvio Paul.
Cecilia si arrampicò.
-E i vestiti?-
-Ti fai dare qualcosa da Sallie.-
-E la tua giacca?-
-Non ho bisogno di una giacca per essere figo.-
Cecilia rise. Avrebbe riso a qualunque segno di distensione da parte sua. Aveva bisogno di sapere che non c'era rimasto troppo male.
-Tieniti- ingiunse lui.
Cecilia si aggrappò al suo collo, fissò la sua nuca finché non le si incrociarono gli occhi, si lasciò accarezzare dall'acqua che scorreva a fior di pelle.
C'era un punto, in particolare, che avevano rinominato "il crocevia". Era un crocicchio di correnti poco sotto la proprietà degli Hayter, dove viveva lui. Era difficile, e occorrevano le braccia e le spalle da vogatore di Paul, le sue gambe da sirena, per riportarli a casa entrambi. Adorava quel punto, il brivido che dava sfidare la corrente, lavorare insieme, vincere e riprendere fiato a riva.
Per un momento bizzarro pensò che Paul l'avrebbe abbandonata lì per vendetta.
-Non farlo.- lo implorò, e gli strinse le braccia al collo.
-'cili, se mi strangoli muori anche tu.-
- Scusa.-
-Che c'è?-
-Niente.-
-Mi stringi come se-
-...-
-Stupida. Davvero pensi che potrei lasciarti andare?-
Eeeeeeeh. Bum. Cecilia non aveva mai messo in conto il proprio cuore spezzato.
Pensò con un sussulto che Paul non stesse parlando del fiume. Si augurò che stesse parlando anche di quello, però.
- No.- ammise.
-Fai male.- le fece sapere lui, prima di rovesciarla in acqua.
Paul era sostanzialmente buono. Era incapace di vendicarsi, non concepiva neanche il pensiero della vendetta.
Ma si tolse i suoi sfizi, a tormentarla, e Cecilia lo lasciò fare a mo' di risarcimento.
Attraversarono il crocevia lavorando ancora una volta in due.
Mentre riprendevano fiato a riva Cecilia pensò che erano riusciti a superare un'altra prova, insieme.
E non parlava solo del fiume.

mandag 16. juli 2012

Dei molti e mirabolanti modi per sputtanare ogni cosa parte IV

Oak Town, 2436


- Credo di essermi innamorato di te.-
Cecilia si era sentita gelare, strato dopo strato, fino in fondo all'anima. Lo aveva visto agitare una mano come se non fosse davvero lì davanti a lui.
-No, ne sono certo.-
Aveva fissato i quadri della sua camicia, le sue braccia incrociate con determinazione.
Paul non le aveva dato il tempo di rispondergli. Le aveva posato una mano enorme su una guancia con delicatezza.
-Vedi, 'cilia...questo, è sputtanare tutto.- le aveva detto. L'aveva guardata ancora un attimo prima di ridiscendere la collina non più verde senza un saluto.
Dal piazzale si sentivano le voci. Holden passò con Sallie in spalla e la scaricò tra le proteste nella jeep ormai pronta. Paul parlava poco.
Era un rituale che si ripeteva da anni.
Il loro non-saluto, la jeep pronta, restare a guardare finché non spariva nella polvere.
Era tutto uguale e tutto diverso.
Non poteva perdere Paul.
Era stata un'estate strana. Era stato bello essere ancora più vicini.
Non avevano voluto pensare alle conseguenze.
Avevano voluto godersi quei raggi di sole, finché duravano, indipendentemente da quello che sarebbe venuto dopo.
Dopo era arrivato.
Tra lei e Paul poteva funzionare splendidamente.
Ma poteva finire, come ogni cosa. E lo avrebbe perso per sempre.
Cecilia si abbracciò le ginocchia, seduta in cima alla collina.
Era innamorata di Paul, e ne era certa. Da anni.
Non avrebbe tollerato una vita in cui Paul Carter non facesse parte stabilmente del suo mondo.
Decise che entro l'estate successiva avrebbe avuto un nuovo fidanzato scombinato. Ogni cosa sarebbe tornata a posto. Senza rischi.

lørdag 14. juli 2012

Conflitti generazionali


Oak Town, 2436

Paul Carter aveva una voce grossa da baritono, quando urlava.
La voce di sua madre era invece molto rock. Holden aveva sempre sostenuto che avrebbe potuto fare la cantante professionista.
-Mhmh. Di nuovo?-
Sallie risalì i gradini gongolando e si accomodò sul dondolo accanto a suo padre. Salame le trotterellò dietro.
- Che ha fatto stavolta? Ha toccato di nuovo i suoi attrezzi?-
Holden sospirò. Non sapeva decidere se quello che Paul aveva fatto era più o meno grave rispetto all'episodio citato dalla ragazzina. Più che altro, sua moglie non l'aveva ancora deciso.
- Dici che lo sbatte fuori?- incalzò la giovane con educata curiosità.
- Pare si stia andando in quella direzione.- si sentì di confermare lui altrettanto educatamente.
Rimasero entrambi garbatamente in silenzio.
"Non ti ho cresciuto in questo modo! Non ti ho insegnato a mancare di rispetto a chi"
"Ma quale mancare di rispetto! Sono affari miei e non parlerò di questa cosa con te!"
-Aaaaaahn.- realizzò Sallie. - E' la faccenda di Cecilia.-
La faccenda di Cecilia consisteva in Quinn Thomson che beccava Paul e Cecilia nel granaio più o meno discinti e in atteggiamenti più o meno compromettenti.
Nulla di particolarmente sorprendente. Ogni persona, ogni filo d'erba, ogni steccato, ogni sasso di Oak Town era consapevole del fatto che prima o poi sarebbe successo. Tutti lo immaginavano. Tutti tranne Quinn Thomson.
- La faccenda di Cecilia?- chiese Holden pacatamente allarmato, sperando che ci fosse una spiegazione semplice e tranquillizzante alla consapevolezza serena e scontata di sua figlia.
Sperava tipo che saltasse su e gli dicesse: papà, ho tre anni! Invece, Sallie agitò composta una mano per confermare:
- Beh sì, Cecilia, il granaio, Paul.-
-Tu lo sapevi?- le chiese suo padre sofferente. E intendeva: tu sapevi della faccenda delle api e dei fiori e delle cazzate sulla cicogna? Sentì che stava sudando freddo mentre si chiedeva quando sua figlia avesse smesso di avere tre anni e l'abbuffata di costata di viscide come massima aspirazione esistenziale.
Sallie si strinse nelle spalle e Holden non si azzardò ad approfondire.
"E' la mia vita, per la miseria, fammi respirare!"
"Ti faccio respirare con la testa sott'acqua, magari esce tutta l'aria che hai nella scatola cranica!"
"Sono un adulto, che cavolo!"
"Il fatto che tu sia così grosso non fa di te un adulto! Hai solo le gambe troppo lunghe e le spalle troppo larghe!"
"Oh per la miseria! Per la miseria! Mi pare di sentire Ritter. Avete la stessa testa, la stessa testa!"
"Stai tranquillo che io a differenza di Ritter non sbaglio la mira!"
- Beh...onestamente questa mi sembra un po'  grossa.- commentò Sallie.
Holden fu costretto a dargliene atto. Se Quinn avesse voluto sparare a Paul e colpirlo avrebbe dovuto mirare  verso Jasonville, tipo.
- Non è il caso...che la vai a recuperare? Prima che si faccia male, per il suo bene.- consigliò la ragazzina con buonsenso.
Holden guardò l'orologio.
- Ancora un minuto e ventidue secondi.- spiegò
Sallie annuì e tornarono a godersi la quiete della campagna.
"Vuoi sapere cosa? Se devi rompere così il prossimo anno resto a Gandhi!"
"Sarebbe un sollievo per tutti, staremmo qui tranquilli!"
"Ma non ci verresti mai qui senza di me!"
Sallie e Holden si guardarono. Anche questo lo sapevano tutti i sassi di Oak Town: mamma chioccia non si muoveva senza tutti suoi pulcini. Piuttosto crepava tra quattro mura a Gandhi.
"Io non capisco come tu faccia a non vergognarti!"
"Ma vergognarmi di cosa, di cosa, è la mia vita, non ho fatto niente di"
"Come fai a guardare in faccia  sua madre e suo padre! Siamo amici da una vita e proprio tu"
"Ma suo padre non mi ha mai guardato in faccia figurati se si accorge della differenza!"
Holden prese un sospiro ed entrò in casa allo scadere del tempo.
Salame non ci pensò due volte ad occupare il suo posto sul dondolo
"Non essere irriverente!"
"E questo è essere irriverente! Hai montato un casino da una cosa STUPIDA!"
"Lo vedi che sei immaturo? E' una cosa stupida? E' UNA COSA STUPIDA? " 
" Sì! E sarebbe rimasta stupida se non avessi sputtanato tutto a tutti facendone una questione di stato!"
Holden avrebbe voluto tanto spiegare che non era stata Quinn a raccontare tutto ai genitori di Cecilia: aveva solo il cervello collegato a quello di Eir. Comunque, il tempo stava per finire, non sarebbe servito a niente.
"Una questione di stato? Una questione di stato? Fuori di qui! FUORI DI QUI, ADESSO!"
Tempo scaduto.
Holden attese sulla porta che suo figlio passasse,nero come l'inferno.
Sua moglie lo guardò con aria bellicosa.
-Se l'è cercata.- si giustificò.
Holden non disse niente. Aspettò di vedere la sua espressione afflosciarsi come un palloncino prima di andare in suo soccorso.
-Persi...ma perché lo fai ogni volta se ci stai così male.- la coccolò con dolcezza. Le tolse di mano sia il pane che il burro. Non funzionava neanche con lo stick, con quello che si spalmava senza coltello.
Lei si accartocciò in una faccia da bambina contrita.
-Vallo a prendere.- lo supplicò, come ogni volta.
- Ahm...non per togliere senso al dramma, ma non me ne sono ancora andato.- fece presente Paul affacciandosi sulla porta.
Quinn agitò una mano con indifferenza.
-Vallo a prendere dopo che se ne sarà andato.- corresse, compita.
-Ahm...e...devo sempre sbattere la porta?- volle informarsi suo figlio.
Holden annuì con aria saggia
-Non togliere senso al dramma- gli consigliò.
Paul se ne andò, sbattendo la porta.
Holden spalmò il burro con infinita tenerezza per una moglie infinitamente contrita.

onsdag 11. juli 2012

Dei molti e mirabolanti modi per sputtanare ogni cosa parte III


Oak Town, 2436


-Grazie, ciao.-
Sallie Carter balzò giù dalla jeep con un certo entusiasmo, pronta ad andarsene di gran carriera.
- Fai almeno finta di entrare in casa da 'cilia?- chiese suo fratello esasperato. Aveva le guance arrossate e gli occhi gonfi per il sole del giorno. Trovava un certo sollievo nell'aria mite del crepuscolo.
Sallie alzò lo sguardo al cielo con aria di sopportazione, percorse saltellando il viale, abbracciò Cecilia sulla porta e le girò intorno mentre lei rideva giusto per entrare, alla lettera, in casa. E uscirne rapidissimamente.
- A domani, ciao!-
- Sallie, non alla radura! Vengo a controllare!- Paul si sentiva un po' responsabile. Sua sorella gli mostrò con garbo un dito medio. Assorbiva sempre il meglio, da Cecilia.
- Quanto sei rompipalle, Carter.- Cecilia lo aspettava sulla soglia di casa Ritter e allungò una mano per aiutarlo con i vettovagliamenti. Anche lei aveva il viso stanco, arrossato e disteso dopo quella giornata piena. -Lasciale godere la sua serata di libertà.-
Paul le puntò contro un dito ammonitore con un'espressione così squisitamente severa che lei rise.
Lui rinunciò a dire qualsiasi cosa.
- Siamo riusciti a tenere la mamma lontana dalla cucina, è tutto sicuro.- la informò lui, sbirciando la cena nei contenitori. - Ma forse dovremmo uscire anche noi e vedere che cosa combina quella sciagurata.- ipotizzò, con l'aria di un tragico eroe.
-Forse dovremmo restare a vedere la partita e lasciarla in pace.-  decise Cecilia.
Paul grugnì qualcosa, rassegnato, e affondò pesantemente nel divano col rischio di sgangherarlo nei quattro pezzi base. Cecilia lo raggiunse immediatamente sventolando con orgoglio una bottiglia di ottimo bourbon.
Senza scomporsi più di tanto, Paul gliela tolse di mano. Si assicurò che fosse ben chiusa e con una spinta delicata la mandò a rotolare sul pavimento lontano da loro, finché non si fu incastrata contro il frigo.
La guardò con impunito candore, ficcandosi in bocca una vangata di popcorn.
Cecilia provò, inutilmente e nell'ordine, a soffocarlo con un cuscino e ad alzarsi per riprendere la bottiglia.
- Sei rimasto tanto traumatizzato?- cantilenò, schiacciata contro il divano da un braccio/sbarra di Paul.
- Non sento la partita.- le spiegò lui, infilandosi in bocca altro cibo.
- Ohh, ma sei un ragazzo così sensibile e innocente- civettò lei avvicinandosi a lui in maniera molesta. Paul la allontanò con un braccio mentre continuava a guardare la partita.
-...quindi hai deciso di non bere più per paura che finisca male?- Cecilia,contrariata al solo pensiero, aggirò il braccio e gli si accollò su una spalla.- Può finire male anche se siamo sobri...- gli fece presente, suadente.- Poi dovrai farmi bere per tenermi buona...- prospettò. Baciò il collo di Paul con aria dispettosa.
Lui non si lasciò intimidire. Le afferrò il mento con la mano libera e le voltò il viso verso l'holoproiezione.
Cecilia si divincolò e lui le circondò il collo col braccio, come se volesse strangolarla.
- Sono il guardiano della tua virtù- le spiegò confidenziale.
Cecilia tentò di protestare e lui le infilò una manciata di popcorn in bocca.
-Shhhh. Partita.-
Solo quando ebbero smesso di ridere il braccio d'acciaio di Paul si spostò dal collo alle spalle di Cecilia.

Quando Paul si svegliò la partita era finita da un po' e cronisti in holoproiezione commentavano l'ennesima vittoria firmata Starship Troopers. Era distrutto dopo la giornata al lago.
Anche Cecilia era crollata e gli era scivolata sulla spalla. Si accorse che la stava ancora cingendo con un braccio in maniera significativamente protettiva. E possessiva.
Prima che potesse rendersene conto e provare una stretta allo stomaco, stava già sorridendo come un imbecille di fronte al profilo di lei. Accidenti, se era bella.
Conviveva col magone dalla notte precedente, ma se ne era reso pienamente conto solo al lago. Con Cecilia faceva sul serio. Ecco perché aveva un disperato bisogno di mantenere le distanze. Cecilia era importante come nessuna. Non era di quelle che si congedano con una stretta di mano e nessun rimpianto. Lo aveva sempre saputo.
Le accarezzò i capelli con delicatezza. Lambì con un dito la bocca disegnata senza riuscire a togliersi dalla testa quel bacio.
Che cosa Cecilia provasse per lui era un'altra enorme, spaventosa incognita. La complicità, l'abitudine alla vicinanza, la familiarità, non gli consentivano di capirlo con certezza.
Eppure, nella sua parte più profonda, sapeva di avere una risposta. Di averla sempre avuta.
Le sorrise quando lei aprì gli occhi. Le sfiorò una guancia con tenerezza.
Lei non disse niente. Sorrideva, per una volta in pace col mondo. Nessun guizzo irrequieto nello sguardo felino. Sembrava appagata mentre lo inghiottiva nella profondità di quel verde.
Doveva proteggerla. Non avrebbe permesso a nessuno dei due di sputtanare tutto. Non poteva permettersi di perderla. Era il guardiano della sua virtù.
Con una stretta agrodolce gli venne in mente un'espressione che suo zio citava sempre: la via per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. In qualche modo lo aveva sempre saputo: era l'unica strada percorribile.
E Cecilia aveva labbra così morbide anche quando non sapeva di brandy...

Sebbene entrambi fossero svegli, nessuno dei due aveva detto una parola.
Paul continuava a cingerla con un braccio. Di nascosto, teneva il naso affondato nei suoi capelli mentre si arrotolava i riccioli ribelli intorno a un dito.
Avevano dormito così tante volte. Solo, sempre rigorosamente con qualcosa addosso.
- Abbiamo sputtanato tutto?-
Cecilia aveva sempre la voce un po' roca, quando si svegliava, e a lui questa cosa piaceva.
- Abbastanza - rispose placido. Probabilmente non aveva ancora una coscienza. O non era ancora sveglia.  Ma nella pace dell'incoscienza non riusciva a considerarlo uno "sputtanare tutto". Erano andati dov'era inevitabile che andassero. Ed era stato tutto così naturale, e puramente bello, che non riusciva a pensare fosse qualcosa di male. Come tutto il resto, anche i loro corpi si completavano alla perfezione.
-Smettila di toccarmi le tette.-
-....ah. Scusa. Sentivo piatto, pensavo fosse il tavolino.-
Davvero. Mentre rideva e si difendeva dal cuscino, e la stringeva forte, fino in fondo al suo buon odore, non riusciva a pensare ci fosse qualcosa di sbagliato.
- Ti fa strano?- le chiese, languido e sereno, dimenticando di essere quello che con orrore neanche ventiquattro ore prima le aveva chiesto come avrebbe potuto guardarlo dopo.
-...neanche troppo.-
-Neanche troppo.-
-...forse dovremmo solo...-
-Infatti.-
-...è solo sesso.- dichiarò Cecilia con eroica convinzione.
Paul aprì piano un occhio sul suo profilo, la fronte aggrottata.
-Solo sesso.- convenne, sdraiandosi sulla schiena e lasciandole davvero poco spazio.
-...non rischiamo di rovinare niente.-
- Niente.-
-...possiamo smettere quando vogliamo.-
-Okay.-
-...-
-...-
-...infatti.-
-Visto che è solo sesso, che ne dici se ripetiamo...?-
-Maiale.-
-Ti pareva.-
- Dovremmo smetterla.-
-Possiamo farlo quando vogliamo.-
-...maiale.-
-Smettere, dicevo.-
Quell'estate dimostrò loro più volte che le buone intenzioni da sole non bastano.

tirsdag 10. juli 2012

Dei molti e mirabolanti modi per sputtanare ogni cosa parte II

Oak Town, estate 2436


- E' stata una notte un po' movimentata.- dichiarò Holden Carter quella mattina a colazione.
- Procioni.- rispose sua moglie solenne mentre Paul si spalmava a tavola con aria devastata.
- Mi sembrava qualcosa del genere.- convenne ancora Holden, leggero. Le tolse di mano pane e coltello e spalmò del burro senza mietere vittime.
- Io dico che dovremmo dargli la caccia. Appostarci in veranda e poi colpirli forte con una mazza da baseball.-
- Grazie, Sallie, la tua propensione a risoluzioni non violente riempie  tua madre e me di orgoglio.-
Sallie Carter sorrise a molti denti e rubò un panino dal piatto di suo fratello tanto per vendicarsi dei suoi 15 anni di punizione.
Paul Carter neanche protestò. Normalmente le avrebbe staccato un braccio.
Salame, il bovaro di casa, si  arrampicò sulle gambe della ragazzina sperando nel ripieno.
- Hey, buongiorno a tutti.- Cecilia Ritter, perfettamente sobria, un cappellaccio terribile calato in fronte e infilzato a morte da ami di varia natura, entrò dalla porta secondaria in cucina. Era evidente quanto fosse di casa.
- Vieni, tesoro, il caffè è ancora- caldo, avrebbe voluto dire Quinn, ma Paul scattò in piedi rovesciando la sedia proprio in quel momento.
- Un galantuomo. Si alza quando entra una donna nella stanza.- commentò Sallie elargendo fette di salame al canide omonimo.
- Gliel'ho insegnato io.- si pavoneggiò Holden con sussiego.
Paul raddrizzò la sedia e la aggirò. Fece un giro lunghissimo per evitare di passare accanto a Cecilia. Probabilmente, se non fosse sembrato troppo strano, si sarebbe calato dal tetto.
-...vado a prendere l'attrezzatura.- dichiarò. Si chiesero tutti come l'idea di una canna da pesca potesse turbarlo tanto.
- ... l'hai picchiato?- domandò Holden a Cecilia con placida curiosità.
- Ti prego, dì di sì, ci ho scommesso la paghetta e un anno di punizione.- la implorò Sallie.
Cecilia uscì stralunata mentre i Carter ancora ne discutevano.
-Sallie,bambina, dovremmo un po' parlare della tua rabbia repressa...-
Trovò Paul nella rimessa intento a selezionare lenze con estreeeeeeema lentezza.
-Tutto bene?-
Paul scivolò sul fondo del locale tra vecchie selle fingendo di interessarsi a cose che con la pesca non avevano nulla a che vedere.
- Sì, sono pronto in un attimo.-

Cecilia si portò una mano sul fianco, minacciosa.
-Non mi stai evitando, vero?-
- Assolutamente...-
-Carter-
-....sì. Assolutamente sì. Certo che sì.-
Anche Paul incrociò le braccia con aria bellicosa. A dodici metri di distanza da lei.
Cecilia balzò a sedere su una cassa con un ghigno.
- Quanto la fai lunga, non è successo niente, no?- lo canzonò, divertita.
- Già, e chi sa come mai.- le ricordò lui, più turbato di quanto fosse lecito.
-Paul Carter e la sua irreprensibile virtù?- suggerì lei.
- E' una cosa seria, 'cilia. Abbiamo stabilito delle regole dall'inizio perché è importante. O almeno, per me lo è. Ci tengo alla nostra amicizia.-
- Anche io ci tengo!-
- Bene, non rovinerò tutto, sarò in grado di tenere i pantaloni addosso.- le promise. Sembrava più che altro una minaccia.
-Sicuro?- Cecilia si divertiva a provocare il suo cavaliere senza macchia. Gratitudine zero. Era la sua politica.- Ricordo qualcuno che diceva cose come "Dio mio, Cecilia", ieri sera.-
Aveva esagerato, lo capì dalla sua espressione. Lui si voltò a riempire una sacca.
- Non è un discorso che ho intenzione di affrontare con te.- le comunicò, algido.
- E dai, smettila di fare la verginella isterica, stavo scherzando! E poi, siamo nell'ennesimo secolo, la gente scopa e se ne scorda la mattina dopo!-
- Ti rispetto troppo per permetterci di fare una cosa del genere.-
Melodramma. Cucchiaiate di cereali e melodramma, per colazione.
- Ma che sei, il guardiano della mia virtù?- chiese Cecilia spazientita.
- Sì, se necessario!-
-...-
-...-
Si fronteggiarono.
- Mi stai dando della-
-Non mi permetterei mai.-
-L'hai pensato.-
-Neanche morto.-
Purtroppo, Cecilia non poté cogliere l'occasione per arrabbiarsi. Paul era accoratamente sincero, glielo si leggeva in faccia perché era un candido ingenuo, un imbecille impavido, un eroe senza macchia.
Continuò a gettare cose alla rinfusa nella sacca.
-Come mi guarderesti, dopo?- era turbato. Troppo.
-....beh. Molto dipenderebbe dalla tua bravura durante,secondo me.- buttò là Cecilia con aria vaga.
Suo malgrado, Paul sbuffò una risata e le lanciò una sacca vuota con l'intento di colpirla.
-Muoviti, il lago Hogan non è qui dietro.- le fece presente, burbero.
Cecilia lo seguì conciliante. Si aggrappò al suo collo e si arrampicò sulle sue spalle con gesti assolutamente innocenti e infantili.
-Okay, hai ragione, scusa. Mi lasci tuffare?-
-Non credo te lo meriti.-
-Sarò buona.-
-Ci penserò.-
Paul uscì trasportando Cecilia sulla schiena come se non avesse peso. Caricò le sacche nella jeep.
-Okay, allora...- Quinn Thomson attaccò con disinvoltura.- Andate piano, state attenti, non fate bravate, occhio al sole, e non buttatevi in acqua subito dopo...-
Sallie enumerava le raccomandazioni sollevando un dito per ciascuna. Presto fu costretta a prendere in prestito anche una mano di suo padre.-
-...ed evitate le acque profonde. Il lago è insidioso.-
-Dai, stavolta s'è scordata il mostro degli abissi.-
-...e i pesci carnivori.-
-Vi sento, voi due.-
Jaden Hunt fischiò e sventolò un braccio in piedi sullo steccato.
-Ok, siamo pronti.- sollecitò Paul con impazienza.
-Sallie, tu non vieni?.- chiese Cecilia, salendo al posto del passeggero.
- No. Preferisco godermi la solitudine ascetica- dichiarò lei composta.- Tra poco esco a cavallo con papà. - aggiunse.- Dovrà sembrare un incidente. Finalmente riavrò la mia libertà.- prospettò, come se nessuno potesse sentirla.
Holden le accarezzò i capelli con aria partecipe e comprensiva. Erano una comica continua.
-Hey, stasera venite a dormire da me? I miei sono fuori fino a domani, vorrei un po' di compagnia.- propose Cecilia ai giovani Carter.
- Vieni qui da noi.- colse al volo l'occasione Quinn-chioccia.
Holden la guardò con amorevole rassegnazione.
- Verrei, ma devo tenere d'occhio un paio dei dispositivi sperimentali della mamma. Non è ancora sicura che alle quattro o alle sei, secondo il timer, non si mettano a bombardare casa dei vicini.-
-...applicazione interessante.- rilevò Holden
-Okay, allora viene anche Sallie.- decise sua moglie.
- Non sono passati quindici anni...- obiettò lui
-Per stasera può uscire.- decretò lei.
- Coerenza.- invocò Sallie con un sorriso algido.
Cecilia rise.
- Sì, beh, stasera passo a cambiarmi e a prenderti e andiamo.- decise Paul, smanioso di partire. Avviò il motore.
- Ricordati di prendere un pigiama. Intero, possibilmente.- suggerì suo padre. Ma era più una frecciata a sua moglie.
Paul sbuffò e salutò con una mano mentre si avviava verso l'uscita del ranch.
-Vado a sellare il cavallo.- dichiarò Sallie con aria svagata.- Taglierò i finimenti. Dovrà sembrare un incidente.- aggiunse, sempre come se nessuno potesse sentirla.
Quinn sbuffò una risata e cercò di rientrare evitando lo sguardo di suo marito.
-Persi.-
Non ci riusciva mai.
-Mh?-
Lui le cinse le spalle con un braccio, rassegnato e intenerito.
- Andrai a scardinare la porta o ti decidi a dare loro un po' di fiducia? Sono adulti.-
Quinn scosse il capo e con la stessa aria algida e svagata di sua figlia, come se parlasse a se stessa, dichiarò
-Non finché io sono in vita.-

søndag 8. juli 2012

Dei molti e mirabolanti modi per sputtanare ogni cosa parte I


Oak Town, 2436

Cecilia e Paul percorrevano con una certa baldanzosa dignità il sentiero diretto verso la sbronza.
- Ti prego. Ti prego. Ripetilo. Non ci posso credere. Non puoi essere così scimmione.-
-Ascolta...ascolta 'cilia : frignava.- per Paul era essenziale che lei capisse. Si avvicinò alitando brandy come un drago alcolizzato. - Frignava, capito.-
- Mh. E tu le hai detto : -
-"Vieni via. Vieni con me su Greenfield se ti secca che passiamo l'estate lontani."-
- E lei ti ha detto :- Cecilia si sentiva particolarmente calata nel suo ruolo di presentatrice.
-" Che schifo. E' tutto verde. E ci sono le mucche. Puzzerà da morire."-
Cecilia ululava dal ridere e gongolava con tutti gli ultimi neuroni non ancora intossicati. Era bello scoprire che la spiegazione al suo cortex spento era migliore di qualsiasi immaginazione.
- E tu : -
-Le ho stretto la mano e le ho detto addio.- dichiarò lui eroico. Si avvicinò un po' troppo e oscillò pericolosamente mentre le passava la bottiglia. - Non si insulta Greenfield davanti a me.-
-Giusto- convenne Cecilia, le lacrime agli occhi.-L'hai piantata con una stretta di mano. Quanto sei cafone.- gli fece sapere, tracannando l'ottimo liquore.
- Ei, se mi dici così, se mi dici così - non cafone. A quello ci era abituato. Parlava della faccenda Greenfield e Cecilia lo sapeva. -....non hai capito niente, di me.-
-Niente.-
-Proprio niente.-
-Lei non ha mai capito niente di te.-
-....-
- ...io ti capisco.-
-Tu mi capisci- dovette concedere Paul.
- Solo io ti capisco.-
-Solo tu mi capisci- si trovò a convenire ancora.
Cecilia aveva labbra morbidissime e sapeva di brandy. Si baciarono con una certa perizia. Era la cosa più naturale del mondo. Aveva capelli morbidi e setosi e lui intrecciava le sue dita tra quei riccioli ribelli per attirarla a sé. Lei gli aveva allacciato le braccia al collo poco prima che finissero distesi tra l'erba. Premeva il seno piccolo e sodo contro di lui che rispondeva con un gorgoglio appagato.
Paul si accorse che il suo corpo cominciava a reagire.
Si alzò in piedi come se fosse caduto su una molla e in meno di una frazione di secondo aveva già percorso tutta la distanza fino al ponte.
-Checcavolofai.- chiese, all'improvviso lucidissimo e preda dell'ansia.
Cecilia apparve disorientata e per un momento lo cercò tra l'erba, come se le fosse appena caduto dalla tasca. Strinse gli occhi per metterlo a fuoco e probabilmente si chiese come avesse fatto ad arrivare così lontano.
-L'abbiamo giurato. Neanche da sbronzi.- non era ansia, era angoscia proprio. - Non deve mai succedere. Mai.-
Cecilia pensò che probabilmente se avesse potuto si sarebbe sfidato da solo a duello per vendicare il suo onore oltraggiato. Ce l'aveva scritto in faccia.
- Non ti piaccio.-
- Dio mio.-
- E' così- anche Cecilia frignava, un po'. Si guardò con una certa aria critica, si pizzicò un fianco e risalì con la mano fino a definire con innocenza il profilo di un seno.
-PUTTANEDAGUERRA, CECILIA- Paul aveva chiuso gli occhi ben stretti e li copriva convulsamente con le mani come se fosse stato appena accecato. - Basta così. Serata finita. Te ne torni a casa. Da sola.-
- Non mi trovi bella e desiderabile, mh?-
-Chiamo Jaden. Ti faccio accompagnare da Jaden. Lui è...temprato.-
-Sono triste.-
-Fai bene a esserlo-
-Ma perché vuoi tutte quelle sciacquette core tutte uguali? Che cosa hanno loro che io non ho, mh?-
-Hey. Che è successo?- Jaden era sceso dalla collina rispondendo al segnale con prontezza.
- Portala via.-
-...cosa?-
- Portala via.-
- Non mi trova bella. A lui piacciono i manic-
-Cecilia, per l'amor di Dio, sei ubriaca.-
-Beh, anche tu.-
Jaden Hunt guardava confuso i suoi amici. Indubbiamente discretamente ubriachi entrambi. Fu illuminato dalla luce della comprensione e ghignò. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Aveva scommesso con Bryce Donovan.
-Portala via, Jade.-
-Waoh-
-Portala via e sta' zitto.-
Ghignando, Jaden Hunt si caricò Cecilia in spalla pronto a scaricarla direttamente sulla soglia di casa.
- Lo rimpiangerai.- salutò lei Paul.
Lui, dal canto suo, tornò a casa perfettamente lucido e turbato e percorse al lungo il perimetro esterno dell'abitazione prima di riuscire a mettersi le cose a posto nel cervello.
Quando i Carter si svegliarono, quella mattina, scoprirono di avere un fossato intorno casa.

lørdag 7. juli 2012

Mauler

Paul Carter stava seduto di fronte alla tenda, disegnando cerchi concentrici nel terriccio con un ramo secco. Gli mancava la pioggia sull'Hudson. Aveva l'aria di qualcuno che avesse aspettato un'ora di troppo. Finalmente sentì le foglie secche piegarsi sotto il peso di qualcuno. Qualcuno di sottile, spigoloso, con una marea di ricci ribelli, qualcuno di bello in modo irritante. Alzo' gli occhi verso il sentiero proveniente dal ponte, ma non vide nessuno. Cecilia Ritter fece capolino dal lato opposto, fra le frasche. Spuntarono prima gli occhi affamati e sospettosi, poi l'intera testa scapigliata, a seguire tutto il corpo e... un mauler. Imbracciava un mauler. Paul sgranò gli occhi.
-PUTT...RIZIO!
Era una cosa talmente grossa che non gli sarebbero bastate le imprecazioni di due generazioni di Thomsons-Sterlings per definirla.
Cecilia mostrò i denti in un ghigno fiero.
-Ho dovuto aspettare tre ore, prima che decidessero di togliersi di mezzo. -dichiarò con aria fiera, proseguendo imperterrita- Soffitta, dietro la bandiera. 'ttanedaguerra, erano mesi che aspettavo! Mi senti? Soffitta, dietro la bandiera. Stupidi. -soffiò.
In effetti, Eir Sterling non era mai stata una cima quando si era trattato di nascondere cose o nascondersi. Aveva l'orgoglio fra le ruote.
Paul continuava a fissarla ad occhi sgranati.
-Cil... e.. tipo... funziona?
-Certo che funziona. Proiettili perforanti. E' per questo che te l'ho portato. Vuoi imparare, no?
Paul non riusciva a spiaccicare una sola parola. Semplicemente la guardava, terrorizzato, incantato. Cecilia gli si sedette accanto, appoggiando il mauler sulle gambe. Lui aveva undici anni, lei dodici. E la tranquillità infantile con cui armeggiava con l'arma automatica era spaventosa. Lui allungo' la mano, controllo' che la sicura fosse inserita. Infine scollò le labbra.
-Come facevi a sapere?
-Me l'ha mostrata papà.
-Mr. Ritter.
-Papà - lo rassicurò lei.
-Mr. Ritter - insistette lui, per il bene della pace nel 'Verse.
-Mh. - concesse lei.
-Era sua?
Cecilia gli rivolse lo stesso sguardo frustratamente femminista ed accusatorio che Eir aveva spalmato addosso a suo padre milioni di volte, addestrandola. Paul registrò il passo falso con l'aria di un cucciolo inesperto, confuso.
-Di tua madre?
Indagò lui, tentennante. Cecilia annuì.
-Mh. E che ti ha detto esattamemte, quando te l'ha fatto vedere?
-Chi, mio padre?
-Mr. Ritter.
-Mi ha raccontato di quando se ne girava per il 'Verse con l'equipaggio di Jack Rooster, a cercare di costruirmi un futuro a colpi di questo.
Cecilia alzò la canna del mauler concitatamente. Paul la riabbassò con cautela ed un'occhiata ansiosa. E, forse, con l'aria di chi aveva sentito quella storia raccontata in modo diverso. Con un paio di "puttanate" ed "egoisti" di mezzo.
-Eir. - precisò la protagonista delle avventure senza l'ombra di un punto interrogativo.
-Mia madre. - Cecilia confermò.
-Mh.
-Mi ha raccontato della volta in cui si è messo nei guai con la legge, papà.

Il viso di Paul si fece più interessato. Cecilia alzò il sopracciglio stuzzicante e felina, da brava figlia di bandito.
-Mia madre cercò di aiutarlo a scappare. Cioè di salvarlo. Andò dritta al ranch ed affrontò un'intera truppa alleata da sola. Con il mauler. Era anche a cavallo, penso. A cavallo con il mauler. - Cecilia decorava la scena a suo piacimento con aria sognante. Anche Paul sembrò ammirato. Cecilia continuò, cambiando espressione.
-Ma quei bastardi le riempirono la schiena di pallottole, e massacrarono mio padre dopo che aveva spezzato il collo ad una puttanella in blu. -Pappagalleggiò alla meno peggio, riempiendo i buchi di fantasiose note di redattrice. Storse le labbra in modo feroce. Paul tentennò.
-E riuscirono a sopravvivere...
Cecilia lo fulminò con un'occhiata truce. Lui si arrese. Era la sua storia. E poi doveva ancora arrivare al punto, glielo poteva leggere in faccia.
-Mh. Il modo in cui ne parla. Il suo sguardo, quando ne parla...
-Mr. Ritter, di Eir?
-Mio padre, di mia madre.
Cecilia continuò imperterrita. Paul ne guardava i ricci svolazzanti nella brezza del tardo pomeriggio, ipnotizzato. Lei scosse il capo.
-Il modo in cui la guarda. E' come se tutto sparisse. TUTTO.
Sottolineò, con una smorfia sofferente. Paul storse le labbra in un sorriso strafottente.
-Sei gelosa di Mr. Ritter?
Ridacchiò. Lei lo fissò e tentò di scaricargli una sventola dietro le orecchie.
-Sei un bamboccio...
-...In un corpo enorme, si. Cosa c'è allora?
-...non lo so. Tipo, a volte li guardo dalle scale, prima di uscire, la sera.
Per "uscire", Cecilia intendeva "sgusciare fuori mentre i genitori erano troppo impegnati ad affogare l'uno nell'altra per accorgersene".
- E... -proseguì- ...ttanedaguerra. Sembra che siano una cosa sola. Sembra che lui sia nato per sradicarla e proteggerla, e lei per rivoluzionargli il mondo.
Tirò su col naso.
-Non so. A volte desidero solo che qualcuno guardi me, in quel modo...
E mentre Cecilia Ritter aveva lo sguardo appeso nel vuoto, Paul Carter continuava a guardarla in silenzio, come se tutto stesse sparendo. TUTTO.

onsdag 27. juni 2012

Battaglie, a ognuno le sue


Eleazar Ritter studiava sua moglie con espressione severa attraverso la luce notturna che filtrava dalla finestra.
Lei gli restituiva uno sguardo irremovibile semiaffondato nel cuscino.
Risate in sottofondo.
- Non puoi.- fu Eir a rompere il silenzio.
-Sì che posso. Lo butto fuori.-
- Ha diciassette anni.-
- E allora. Io alla sua età-
-Quinn ci ha chiesto di dargli un'occhiata finché non tornano.-
-L'ho guardato fin troppo per i miei gusti.-
-Ci hai solo cenato insieme e l'hai relegato a dormire sul divano.-
-...-
-...-
Eleazar si girò sulla schiena e si impegnò a guardare il soffitto con la perizia di un architetto di Cap City.
- Voglio dirti solo una parola : pazienza.- le fece presente con sussiego. La sua la stava perdendo tutta, a forza di sentire risolini dal piano di sotto.
- Ne ho una anche io e fa giusto rima: astinenza.- fu pronta a rispondere lei. Guardava il suo profilo non senza un certo divertimento.
Eleazar si voltò.
- Potrebbe star insidiando TUA figlia in questo stesso momento.- giocò la carta della responsabilità con tono leggero, ma l'indice che le puntava contro era categorico. - Non so perché lo lasciamo dormire qui.-
- El, ma l'hai visto?-
-...-
- E' Quinn con un accenno di barba, che vuoi che faccia. Al massimo è TUA figlia che può insidiare lui e finisce che ci tocca anche andare a salvarlo.-
-...-
-...-
-Sì, è vero.-
Eleazar stava già saltellando fuori mentre cercava di infilarsi i pantaloni.
- E adesso dove vai.- gli chiese lei mentre lui apriva la porta e una zaffata di risate soffocate li raggiungeva.
Eleazar tese l'orecchio: voci, cigolii, versi strani...e le molle del divano.
-...adesso lo ammazzo.-
Eir si voltò sulla schiena, rassegnata a concedergli dieci secondi di vantaggio.


Tutte le luci- tutte insieme- si accesero di colpo mentre qualcuno ciabattava giù per le scale.
Paul e Cecilia rimasero bloccati esattamente dov'erano in un turbinio di piume. Chiunque fosse di ronda, arrivava nel momento meno adatto per interrompere la loro attività: Cecilia stava avendo la meglio ed esultava in piedi sul divano scaricando salve da cinque cuscini rotondi su un dimesso Paul che cercava, invano, di farsi piccolo dietro una sedia.
Si guardarono solo un momento, gli occhi dilatati dall'eccitazione e dall'allarme, e seppero immediatamente cosa fare.
Quando le gambe, il torace, il nahm il viso di Eleazar Ritter comparvero sul piano, erano pronti.

Nonostante tutte le congetture e la speranza di poter sbattere fuori Paul Carter, Eleazar si era premurato di fare molto molto rumore, scendendo. Nella seppur remota possibilità, non avrebbe retto a una scena di quel tipo.
Li trovò schierati come soldatini,  in piedi contro il divano, spalla a spalla,completamente vestiti. Notò con rammarico che Paul indossava un pigiama integrale, privandolo così di una scusa per sottrargli punti.
-Papà.-
-Mr. Ritter.-
Eleazar ghignò dentro. Sua moglie era stata subito "Eir".
Li guardò a lungo, l'espressione indecifrabile.
- Hai perso la strada per la tua stanza?- chiese a Cecilia. In realtà squadrava Paul con aria crudele. Il ragazzo non si muoveva. Probabilmente neanche respirava.
Eleazar si divertiva come un pazzo.
Piume sparse vorticavano nell'aria. E stavano attaccate ai loro capelli, ai vestiti.
Con discrezione, Paul ne tolse una dai capelli di Cecilia. Come se nascondere quella traccia non consentisse di capire che cosa fosse accaduto lì.
- Ho portato un cuscino a Paul- gli rispose Cecilia, impenitente. Era ovviamente rilassata.
-Un cuscino.-
-Sì.-
-Già-
-Tu invece che ci fai qui?- chiese lei ciarliera. Sì, si divertiva anche lei.
-Ci vivo.-
-Intendo, a quest'ora.-
-Ci vivo anche a quest'ora.-
- Di sotto, papà-
Eleazar la squadrò a lungo. Era orgoglioso di sua figlia.
-E' comodo il divano, Thomson?- domandò, cambiando preda all'improvviso. Lo vide trasalire.
- Er, Carter, signore.-
Sembrava un soldatino. Era divertente.
- Thomson.- insisté. Eir aveva ragione. Era uguale a sua madre.
Lui sembrò capire.
-Sì. Signore.-
Eleazar si esibì in uno dei suoi soliti sorrisi predatori. Non aveva più niente da dire.
-Fila in camera tua.- esalò all'aria mentre cominciava a risalire. Sentì la risatina di sua figlia. Non era mai stata mandata in camera sua. Al massimo, capitava che fosse lei a mandarci i genitori, a mo' di punizione.
Aveva guadagnato due gradini quando un cuscino lo colpì alla nuca.
Sentì la risata aperta di Cecilia e il respiro mozzo e impanicato di Paul.
Raccolse il cuscino lentamente. Si voltò piano.
La guerra era appena iniziata.


-Ehm, caffè? - propose Eir con disinvoltura quella mattina.
Quinn Thomson batté le palpebre chiedendosi se non stesse ancora dormendo.
C'erano piume nei suoi riccioli lenti. Piume a terra, piume sui mobili, piume che vorticavano nell'aria.
-Che...avete tolto di mezzo un pollaio, per la colazione?- domandò la bionda, adattandosi alla disinvoltura d'ambiente.
- Non abbiamo più un solo cuscino,in casa.- spiegò Eleazar, comparendo sulla porta con sussiego e con un paio di portentose occhiaie.
- So che cosa regalarvi per Natale.- promise Quinn. - Paul si è...- un po' era evidente che le sembrasse stupido chiedere se suo figlio si fosse comportato bene. C'erano mucchi di piume ovunque.  Anche tra i suoi capelli, quando uscì. Diede il cinque a Eir in maniera molto cameratesca. Non si azzardò, con Eleazar.
Anche Cecilia aveva piume tra i capelli, quando seguì Paul.
- Beh, grazie per...- no, non era sicura che gli avessero dato un' occhiata e che avessero contenuto le sue energie adolescenziali.-...tutto.- optò, riuscendo a trovare una definizione onnicomprensiva.
Eir ghignava dondolandosi sulla porta.
Anche la bionda rise.
-Quando non riesco a tenerlo ve lo mando con una pila di cuscini.- promise.
Paul le sfilò le chiavi della jeep e lei alzò gli occhi al cielo. Salutò, rassegnata al posto del passeggero.
I tre Ritter rimasero sulla soglia a guardarli allontanarsi .
- Comunque, è una schiappa.- decretò Eleazar, volgendosi verso l'interno.
-Intanto, tu hai perso e ora pulisci.- lo punzecchiò Cecilia.
-Solo perché è arrivata tua madre a darvi manforte. C'era un netto squilibrio numerico.-
-E fino ad allora eravate uno contro uno, Paul non osava colpirti.- fece presente Eir con molto realismo.
- Bene. Deve portare rispetto.-
-Intanto, "rispetto", vedi di pulire. Vogliamo trovare tutto in ordine, quando ci svegliamo.-
Sterling madre e Sterling figlia risalirono le scale con una certa baldanzosa soddisfazione.
Finalmente solo, Eleazar si accese una sigaretta col solito ghigno sornione. Sprofondò nel divano, sollevando sbuffi di piume.

mandag 25. juni 2012

High as a kite

Estate 2530, Ghandi

Holden Carter attivò la chiamata via cortex, la bloccò prima che potesse essere inoltrata, incassò la testa nelle spalle e si voltò verso sua moglie. Che in mano aveva una fetta di pane attaccata ad un coltello. In mezzo, del burro. La fissò con sguardo sofferto.
-Perchè io?
-Perchè ti avevo detto di far piombare le finestre.
-Ma...
Sguardo impietoso di Quinn Thomson.
-Ma...
Passo in avanti di Quinn Thomson. Fetta con burro in mano.
-Okay, okay. Solo... Lui. Non lei.
-Perchè conti sul fatto che sia fatto?
-Perchè credo che sia in viaggio.
-Furbo.
Gli concesse Quinn. Holden alzò le spalle larghe, prese un bel respiro ed avviò la chiamata. All'altro lembo del cortex, su una rotta sicura fra Clackline e Goldera, Eleazar Ritter stava cazzegg... parlando di lavoro con il capitano Neville davanti ad una bottiglia di bourbon. Accettò la chiamata con un'espressione placidamente stupita.
-Carter?
-Carter?- Gli fece eco Vergil, seduto poco lontano.
-Ritter.- Rispose la voce di Holden Carter.
-Salve, Carter.
-Salve, Ritter.
-Mmm.
-Come va?
-Molto bene, stiamo smistando una partita di blast.
-Ah, bene.
-Già.
-Mmm.
-Carter, cazzo è successo?
-Ahm.
-Carter?
-Ho perso tua figlia.
-Cos...
-I ragazzi sono scomparsi.
-...
-NON in quel senso
-...
-Il fatto è che non ho sigillato...
-PIOMBATO- lo corresse la voce di Quinn, vicinissima.
-..Piombato le finestre della loro camera.
-Loro camera?- Indagò la voce di Ritter.
-Sua camera.
-...
-Ritter, abbiamo già chiamato lo sceriffo, ma... Non sono ancora passate quaranta ore e sai, con la questione dell'idolo scomparso dal tempio....

Ritter non "sapeva". Eleazar Ritter era cresciuto su Corona, dove un bambino valeva cento idoli buddisti dorati. 

-Mh,
-Ritter, giuro, sto...iamo facendo tutto il possibile. Solo, ti prego, non...
-...Dirlo ad Eir?
-Eh...
-Secondo me lo sa già. Quinn lo sa?
-...
-Scherzo, Carter.
-Ah. 

Ritter si stava quasi divertendo. Quasi. Vergil se la stava spassando, su quello non c'era dubbio. Entrambi sapevano che Eir si sarebbe limitata ad alzare le spalle e svuotare un bicchiere di scotch. Lo sapeva anche Quinn, che continuava ad ostentare un broncio preoccupatissimo sul viso ancora infantile nonostante gli anni passati. 

-Ti dò venti ore, Carter. Trovali.
Concluse Ritter, prima di riattaccare e tornare a fare il coglione con Neville.

Intanto, su un marciapiede a caso di Ghandi, 'Cilia Ritter e Paul Carter stavano cercando di accordarsi sulla suddivisione dei compiti. Avevano già buttato i cappelli in terra, giusto per essere pronti ad accogliere la sicura gratitudine del pubblico passante. 
-Voglio cantare anche io.
Protestò Paul
-Sei stonato come una campana rotta.
Osservò placidamente 'Cilia.
-Anche tu.
Ribattè lui, in mancanza di meglio. Era un pessimo contaballe. Non riusciva a sostenere il suo sguardo per più di un paio di secondi, e lei lo sapeva. Un sorrisetto vittorioso s'incrostò sulle labbra.
-Tieni il ritmo, se ci riesci.
Gli affidò il tamburo sottratto alla collezione di Holden, tossicchando un poco per sgranchire l'ugola. Paul iniziò a colpire la pelle tesa sullo strumento con incertezza regolare. Pensava fosse ritmo. 'Cilia ondeggiò per alcuni secondi, cambiando direzione ad ogni colpo, prima di scollare le labbra.
-One of these days I'll get my boat on the water, my boat on the water one of these days...
La sua voce era ruvida come la lingua di un gattino, rabbiosamente limpida, incazzata nel profondo. Così come i ricci, come gli occhi taglienti, come tutta lei. Paul colpì il tamburo con più entusiasmo, tentando di sovrastare il rumore assordante del proprio cuore che sembrava battere ovunque. Nella gola, nelle tempie, fra i polpastrelli.
-My girl Cecilia Carter...
Sorrideva. Sorrideva in modo storto ed ondeggiava con i fianchi. Oltre al tamburo, un paio di tonfi metallici accompagnavano la sua voce, di tanto in tanto. Perso in un momento senza controllo, Paul credette di sentire miloni in entrata, nei loro cappelli. Controllando dopo, si sarebbero rivelati tredici dollari e sette cent.
Cecilia stava per attaccare la seconda strofa, quando la vista della divisa da sceriffo ne scoraggiò la cadenza ed il tono.
-Hrrrmm.
Finì un po' come finiscono i nastri quando al mangiacassette viene strappata la corrente. Uno sguardo cristallino, ripido. Svuotarsi i cappelli in tasca, tener ben stretto il tamburo e mettersi a correre come dei dannati. Svuotare i polmoni, appendere il respiro ad un gancio per recuperarlo solo fino all'ultima fermata. Le gambe già in fuiamme, si buttarono in uno shuttle pubblico di passaggio. Crollarono sui sedili scomodi in cuoio, usurati dalla condivisione di tutte le chiappe di Ghandi. Le gambe molli, il cuore come un rinoceronte impazzito nel petto. Ci mistero tre minuti a recuperare abbastanza fiato per riuscire a scoppiare a ridere.


-Basta. Vado.
Dichiarò Holden Carter, incassando il fatto che ora mancavano solo diciotto ore al termine stabilito da Ritter.
-....Dove?
Tentò di informarsi Quinn.
-A cercarli.
-Dove.
-...
Si guardarono per un lungo attimo. Divisero un sorriso, da buoni compagni di merenda. Un sorriso stanco, vagamente più rasserenato.
-Vengo con te.
Venne anche la fetta imburrata.


'Cilia e Paul saltarono giù dallo shuttle appena in tempo per capire che non avevano la più pallida idea di dove si trovassero. Condivisero un ghigno, quindi attraversarono la strada e si infilarono sotto l'arco dorato che dava su un parco verdissimo. Non era come gli altri parchi di Ghandi, il giardino di Zeduah. Era principalmente un ammasso di grandi prati verdi, erba costantemente tagliata all'altezza di sei pollici e mezzo, qua e là qualche fontanta e, molto più lontano, il tempio di Devi-Mahatmya. 'Cilia si sfilò le scarpe di tela ed affondò le dita dei piedi nell'erba morbida. Paul la imitò. Camminarono per parecchio tempo, prima di accorgersi che no, ora non si ricordavano nemmeno da dove fossero partiti. Fecero per cambiare direzione per l'ennesima volta quando un battito costante, morbido, pesante, fece incontrare di nuovo i loro sguardi. Constatato che non si trattava di una condivisione di cuore, avanzarono oltre un laghetto, fino ad aprirsi la vista fra gli alberi ed i cespugli e trovarsi davanti ad un tempio bianco. Bianchissimo, abbagliante. Un gruppo di donne e uomini in tunica bianca stava suonando, danzando in un mondo perso. Una miriade di acquiloni colorati galleggiavano nel vento, fermati a terra solo da fili sottili e chiodi infilzati nel terreno. Sull'erba, vicino ai chiodi, centinaia di lanterne bianche e rosse aspettavano spente, quiete. Si guardarono. Paul scosse il capo. 'Cilia annuì.


Holden incassò la testa nelle spalle, per l'ennesima volta. Quinn brandì il coltello corredato da fetta imburrata con meno convinzione.
-Sicuro?
Indagò, fissando un vecchio ubriacone. L'unico che si fosse degnato di rispondere loro, quando avevano chiesto di due ragazzini sui tredici-quattordici anni dall'aria scapigliata.
-Sssicuro. Tipo.. Shono shaliti sullo shhhuuuuut*hic*le. Quando shono arrivati gnli sbhirri.
-Che numero.
-Mmhhr. Tipo il...trentasedishi...o il ventottho. Non ricordo.
L'uomo crollò a terra, appoggiando il muso nella propria bava. Holden si voltò verso Quinn. Il trentasei ed il ventotto portavano in due punti esattamente opposti di Ghandi. Sempre che fossero stati lì, e che fossero saliti su uno shuuuuttle.


'Cilia stava già battendo le mani al ritmo del grande tamburo. Le era stata infilata una tunica bianca, troppo grande. Quella di Paul era troppo stretta, e lo faceva sembrare un misto fra un senatore dell'antichissima Roma della terra che fu, ed uno spogliarellista del Nightingale di Meili. Anche lui batteva le mani, ciccando il ritmo di tanto in tanto, troppo impegnato a far sì che la tunica non si arrampicasse su per le gambe rivelando più del dovuto.
-'ttanedaguerra, Paul. Guardaguardaguarda.
Miagolò lei con aria eccitatissima. Paul serrò la mano forte sotto il lembo della tunica per tenerlo a bada, e spostò lo sguardo sul punto indicato. Alcune donne anziane, capelli bianchi quanto le loro tuniche, si stavano avvicinando ai chiodi. Ognuna ad un gruppetto di chiodi.
-Noi siamo come loro.
-Come le vecchie? - Paul storse il naso.
-No, bamboccione. Come gli aquiloni. Vedi, quelli eravamo noi stamattina.
Ghignò sordamente. Adorava i clichè. Era il periodo in cui aveva valutato cosa tatuarsi sulla schiena. Prima che Ritter la ripescasse a due millimetri dalla punta riempita d'inchiostro, tirandola verso casa per le orecchie.
Paul annuì, dando segno di seguire la metafora, ora. Sapeva anche cosa sarebbe successo. Le anziane si accucciarono a terra, il ritmo del tamburo si intensificò. Le mani di 'Cilia cercarono quelle di Paul, tirandoselo dietro in una girandola spericolata. Non sapevano ballare. Per nulla. I ritmi accelerarono. Quello del cuore, dei cuori, quello della musica, quello del vento, quello dei pensieri. Quello del profumo dei capelli di lei infilato fra le narici di lui. Quello dei piedi a sfilare sull'erba, quella dello sfondo sfuocato, tirato brusacamente come le linee di un pittore impaziente. Quello del 'Verse. Poi il silenzio, improvviso. Alla fine del vortice, solo il silenzio. Le mani incassarono uno strappo brusco. Crollarono a terra. Non solo loro due, ma tutti. Tutte le tuniche bianche. Le vecchie liberarono i chiodi. Liberarono centotredici aquiloni nel cielo estivo di Ghandi.  I volti, tutti i volti alzati verso il cielo. Le ombre di centotredici aquiloni a sfiorarli.
-Come loro. -Ripetè Paul
-In alto come loro.
-Highasakite. -Sbuffò Paul, affondando il viso di lato, fra i capelli di Cecilia Ritter. Solo dopo qualche istante si accorse del fatto che non era l'erba, quella. Si ritirò con discrezione, appuntando di nuovo gli occhi al cielo in mille colori. Il più grande quadro del 'Verse si stava agitando sopra di loro. E sarebbe sparito nel giro di pochi secondi.
-Highasakite.


Quinn Thomson e Holden Carter erano piantati fermi, in piedi davanti al centro di sperimentazione aerospaziale di Ghandi.
-Cosa, vuole fare il pilota anche lui, adesso?
-Non sono qui.
Assicurò Quinn, mentre si avviavano verso la reception.
-Scommettiamo?
Ghignò Holden, superando le porte ruotanti. Fecero quel gioco scemo che facevano sempre. Si inseguirono per tre giri e mezzo prima di entrare. Prima di avvinarsi alla risposta, ed incassare la risposta limpidissima.
-Okay.
Ammise lui, fissando la moglie.
-Cosa ho perso?
Quinn sorrise silenziosamente, prendendogli la mano con la propria piccola sottile. Se lo trascinò dietro, sempre brandendo il paneeburro nell'altra.
-Parliamo di cosa ho vinto io, piuttosto.




Era calata la sera. Il sole era scivolato via dal cielo di Elèria tanto rapidamente quanto l'aveva invaso la mattina, poco dopo che si dileguassero dalla stanza di Paul. Il gruppo di fedeli s'era inspessito a poco a poco, e, senza accorgersene, si erano trovati in mezzo ad una folla in tunica bianca. I canti iniziarono solo con il calar del sole. Un uomo giovane, con piume nei capelli ed un trucco selvaggio sul volto, alzò nell'aria una voce dolcissima. Una donna vestita di rosso lo accompagnava al tamburo, mentre altre donne e uomini in mezzo alla folla iniziarono a tessere le loro voci insieme fino a fonderle in un unico e perfetto arazzo. Solo quando il buio staccò l'ultimo morso all'iris una delle anziane si chinò, raccogliendo la lanterna di carta ai suoi piedi. La alzò sopra di sè, in modo da mostrarla a tutti.
-Dimentichiamo per ricordare. E' nel tutto che troviamo il singolo, e solo nell'universo infinito troviamo noi stessi. Le nostre anime tornano a fondersi.
I fedeli imitarono l'anziana, raccogliendo le centinaia di lanterne appoggiate a terra. Le mani libere, come quelle di Paul Carter e Cecilia Ritter, cozzavano seguendo il ritmo del tamburo. C'era un'euforia pacifica nell'aria. Poi fu questione di istanti. Di battiti cardiaci, di mezzi respiri. Le lanterne si accesero. Tutte. Le dita mollarono la presa, e nel cielo quieto del giardino di Zeduah si sollevò una nuvola di luci volanti di carta. Galleggiavano nell'aria come centinaia di lucciole obese, come pensieri fatti e non finiti. Come parti di tutti in cerca di un rifugio migliore. Come le forze del cuore in cerca del sole. Non ci furono più parole. Paul prese Cecilia, e se la piazzò sulle spalle. In un tentativo di permetterle di aggrapparsi ad una luce e sparire in cielo. Nel volo più perfetto che la vita le avrebbe mai permesso. Era la sua parte migliore, lei. Quella destinata al sole. Quella da cui ci si separa solo con la consapevolezza che in realtà è tutto. Tutto.


Meno un'ora alla fatidica chiamata cortex di Eleazar Ritter. Holden Carter portava la disperazione in volto, e Quinn Thomson fra le braccia. Raggiunse il viale familiare, quello di casa. Non sapeva più che fare. Il cielo a Nord iniziava a macchiarsi delle leccate violacee dell'alba. Il sole stava per baciare i palazzi più alti di Ghandi, quelli che si attorcigliavano come piante esotiche fatte di vetro. Era stanco, l'intero corpo pesante, i passi trascinati. Inciampò quasi, poco distante dalla porta. Ciondolò, recuperò l'equlibrio, ed alzò lo sguardo. Dalla parte opposta dello stesso viale, era in arrivo una figura fin troppo conosciuta. Una figura sola, composta da due pezzi perfettamente compatibili. Cecilia Ritter dormiva, crollata sulle spalle e sulla schiena di Paul Carter, che la sosteneva fieramente. Aveva l'aria di un cavaliere tornato dalla battaglia. Vittorioso. I due Carter si fermarono, ognuno a tre metri esatti dalla porta, con tre metri esatti fra di loro. E sorrisero. In silenzio.

Il giorno dopo, Quinn Thomson prese la saldatrice, quattro sbarre metalliche, e piombò le finestre della stanza di suo figlio.


onsdag 20. juni 2012

Chicken brain

Cecilia Ritter aveva le dita serrate intorno alla cloche. Sotto i polpastrelli, abbastanza potenziale distruttivo da mandare parecchie puttane a volare in cielo. Abbastanza da rendere il tutto interessante. Tirò un bel respiro, mentre il cielo di Greenfield la aspettava silenzioso, con l'aria da Todd, una porta placida e poco difficile aperta su tutte le possibilità del 'Verse. La mano scivolò attorno alla leva di attivazione SSV e...
- No, no, no.
Una donna bionda sulla quarantina, magra,  con un viso dalle linee feroci e dure, scosse la testa in modo brusco e le si avvicinò. Il suo nome era Eivor Edwards, ed era un'eroe di guerra. L'unica cosa che gli anni avevano aggiunto al suo volto erano ulteriori strati di fierezza, grammi di serietà.
-Attivi l'alimentazione centrale, prima. Motherofgod, hai del cemento nelle orecchie?
Nel tono di voce, nemmeno un'ombra di complicità o simpatia. Solo la durezza di chi vuole preparare qualcuno al meglio. Ed al peggio. 'Cilia storse il naso. Decise che era ora di fare una pausa. Di nuovo.
-Perchè la chiami Cuor di Panna?
-Perchè è stupida.
-E perchè ti chiama Culo di Chiodi?
-Perchè son stronza.
-Ah.
Il ragionamento non faceva una piega. Prese un bel respiro.
-Sai, ci sto pensando, alla storia delle colonie...
-Mh. In realtà sarebbe prestino per te, ma... Ci serve gente fresca, capace. Ho parlato con l'ammiragio Bradway.
La fissò, come se stesse per rivelarle un mondo nuovo.
-Ti prende, lo sai? Ti prende.
Non sorrise. Non mostrò la finestrella. Non lo faceva mai. Ma una luce strana le balenò negli occhi. Continuò a guardarla, nell'attesa che balzasse sù, o quantomeno si mettesse ad ululare di gioia con gli occhi fuori dalle orbite. Cecilia la guardò a sua volta. Nessuna gratitudine-policy. Eivor Edwards ricevette un sorriso incerto.
-Ci ho pensato tantissimo.
-Mh.
-Lo voglio tantissimo.
-Eh.
-E' che...
-Che?
-C'è questo ragazzo...
-Prego?
-Questo ragazzo, P...
Si bloccò. Culo di Chiodi alzò gli occhi al soffitto metallico della plancia dell'Hyperion II. Non ci poteva credere. La cretinaggine sentimentale, la propensione a sventrare il 'Verse ed i propri sogni per amore era davvero ereditaria. Per quanto la riguardava, Eivor aveva mandato all'inferno più cuori di chiunque altra donna del 'Verse. Poi aveva trovato un medico di Corona, che continuava a mandare all'inferno con gioia e passione, guardandosi bene dal dirlo al mondo. Esitò, quindi le rivolse un sorriso infido, complice.
-Ei, 'Ci. Ti sei appen guadagnata un soprannome. 
Cecilia Ritter la fissò con aria speranzosa.
-Si?
No, Cecilia Ritter non conosceva Culo di Chiodi bene quanto sua madre.
-Si. Cervello di gallina.

lørdag 16. juni 2012

Futuro,più tardi, grazie

Cecilia Ritter risaliva il graticcio senza nessuna difficoltà e con la disinvoltura conferita dall'abitudine.
Era pomeriggio inoltrato, le finestre erano tutte aperte.
Batté le nocche contro la cornice, prima di infilarsi dentro.
Paul era sdraiato sul letto con aria bellicosa e depressa. Teneva un intero vassoio ricolmo di panini sull'addome e sparava con la pistola-controller a vari tipi di vascello proiettati sulle pareti e sul soffitto della stanza.
Era un videogioco classico, mai passato di moda.
Cecilia posò i piedi a terra e aggrottò la fronte. Quei muri avevano visto tante volte quella sequenza, ripetuta da un paio di generazioni almeno.
-'ao.- la salutò Paul. Aveva la strabiliante capacità di infilarsi interi panini in bocca anche da steso. Cecilia pensò che non li masticasse neanche. Aveva una mira perfetta e non sbagliava nessuno dei colpi elargiti con irritazione indolente.
Non si vedevano da mesi.
- Beh? Non ti hanno fatto mangiare, a Ghandi?-
Per tutta risposta Paul aggredì un altro panino.
- Sei sempre il solito cafone.- constatò lei interessata, acciambellandosi ai piedi del letto, sul pavimento.
Paul fece penzolare una mano enorme per passarle un panino.
Cecilia diede appena un morso, lo restituì. Anche quello scomparve per intero tra le fauci del giovane.
- Non 'i 'anno prefo-
Non c'era bisogno di traduzione. Il selvaggio trionfo che le si agitò nello stomaco le fece provare un po' di vergogna e senso di colpa. Era una cosa a cui Paul teneva, doveva essere dispiaciuta per lui.
-Com'è? Troppo giovane?-
Lo sapevano. Non aveva grosse possibilità prima di un anno, forse due, ma quando le aveva detto di voler comunque tentare prima l'ingresso in accademia l'aveva lasciata in un profondo stato di prostrazione. Significava che avrebbe trascorso tutta l'estate a Gandhi.
Paul si strinse nelle spalle, ingollò due panini uno dietro l'altro.
- Ti prenderanno l'anno prossimo.- decretò Cecilia con aria molto più rilassata. Prese il secondo controller allungandosi fino alla scrivania. Si accorse che il suo cortex era spento.
- Almeno, la fidanzatina di Gandhi sarà contenta se non corri rischi- ghignò con un certo senso di rivalsa. Quella sciacquetta odiosa.
Paul grugnì in un modo che confermò ogni suo sospetto. D'altro canto, da che stava con quest'ultima vergine afflitta, era obbligato a usare il cortex come un prolungamento del suo braccio per i non facoltativi puccipucci di rito. Se era spento e lontano, avevano come minimo litigato.
Cecilia stavolta non provò il minimo senso di colpa quando sentì il trionfo allargarsi e colarle in petto.
Prese a sparare agli hologrammi di navi spaziali con un certo entusiasmo. Era così ringalluzzita che non ne beccava molti.
Paul sbuffò, mise da parte il vassoio e la sollevo sul letto con un solo braccio.
- Scimmione.- lo apostrofò lei.
Lui le indicò le navi nemiche con aria solennemente seria e un panino tra le labbra.
-Di positivo c'è che abbiamo tutta l'estate.- rifletté tra il quarantacinquesimo e il sessantaduesimo panino. Sembrava essersi un po' ripreso.
-Oh, te ne sei accorto, ti ringrazio. Pensavo volessi restare qui a mangiare depresso finché non passavi più dalla porta-
Paul rise e la spinse con una manata delicata. Cecilia finì lunga distesa sul letto.
- Alzati, svergognata. Se entra mia madre pensa che vuoi farmi toccare le tette.-
-...-
- "sei un bamboccio in un corpo enorme, Paul Carter"- suggerì lui con vocina stridula.
Cecilia rise. L'estate era davvero cominciata.
- Resti a cena?-
-Perché...hai anche intenzione di cenare?-
Paul le infilò un panino in bocca senza perdere troppo tempo.
- Papàààààà- chiamò- Abbiamo ospiti per cena, puoi evitare che la mamma cucini?-
Holden rispose le sue speranze dal piano di sotto e promise che avrebbe fatto il possibile.
Restarono a sparare ai muri e a progettare l'estate fino a ora di cena.
Poi passarono alla fase operativa e uscirono nella notte meravigliosa di Greenfield pronti ad appropriarsi di ogni giorno insieme,fino all'ultimo.

torsdag 14. juni 2012

Parental Control vol.2


Eleazar aspettava, appoggiato alla parete; fumava la quinta sigaretta dal risveglio.
Erano le due di pomeriggio, in fin dei conti. La media poteva risultare dignitosa, escludendo il fatto che s'era alzato a mezzogiorno e mezzo.
Una canottiera bianca, un paio di jeans ed una faccia asciutta a cui gli anni non avevano tolto un grammo di assente e pigra spavalderia.
- Cucini tu?
La voce bofonchiante di Cecilia, appollaiata su una sedia, lo raggiunse mentre lui la fissava placidamente. Sua figlia indossava una vecchia camicia rossa, troppo grande; le ginocchia ossute spuntavano oltre il bordo del tavolo. La pelle pareva sbucciata di fresco, da un lato. La ragazza inzuppò un paio di epocali occhiaie in un'enorme tazza di caffè, smollicando il pane con le dita, sino a renderlo la cosa più lontana possibile da una fetta.
Eleazar ne soppesava il profilo; era piacevole, ogni volta, misurare quanto i propri occhi, in mezzo al broncio di Sterling, rendessero giustizia alla parola: 'incazzato'. Poteva compiacersene.
Ridacchio, prima di rispondere.
- Sì. Non svenire per l'entusiasmo, sono fuori servizio.
- Mh...
- Preferivi tua madre?
- Preferivo la morte per fame.
Eleazar continuò a ridere, scosse la testa, arricciando le labbra attorno al filtro. Si staccò dalla parete, per andarsi a versare un bicchiere di whisky. Le buone abitudini non muoiono mai.
- Continua così sarai esaudita presto, tesoro. Quel pane sta urlando pietà da tre quarti d'ora.
Cecilia non era mai stata una ragazza d'appetito. Anzi, di solito digiunava. Magari anche a causa della scarsa abilità culinaria dei genitori.
- Mh... mi dai una sigaretta?
- Finisci la colazione
- Questa non è una colazione, è un omicidio
- Finisci il tuo omicidio, allora
- ... Papà...
La ragazza sollevò lo sguardo verde, affilato ed orgoglioso su Eleazar. I tratti gentili del volto si aggrovigliarono in una sorta di tenerissimo cruccio minaccioso, velato d'una supplica incosciente di se stessa. Un ricciolo scuro fendeva la fronte a metà, lambendole il naso.
Ritter sospirò, strofinandosi la faccia, oramai addestrato con grazia ai propri cedimenti rovinosi.
Perdeva battaglie con le donne Sterling dal lontano 2514. Rese incondizionate.
Infilò la mano in tasca e le lanciò di fronte il pacchetto spiegazzato. Si sedette, allungandole anche l'accendino. Cecilia stava già scartando la preziosa nicotina, nemmeno fosse ambrosia.
- Non dirlo a lei, ogni occasione è buona per...
In quel momento la porta si spalancò di scatto, accompagnata da una sonora ed inequivocabile imprecazione.
- PUTTANEDAGUERRA
Eir si trascinò dietro tutta la propria ira funesta, varcando la soglia e sbattendo l'uscio nel muso alla meravigliosa estate di Greenfield. La canotta impolverata, i pantaloni consumati e la massa imbarazzante di capelli indomabili, la rendevano pressoché simile ad una ragazzina offesa, incazzata. Salvo qualche timido segno in più attorno agli occhi e alle labbra, i cinquant'anni sembravano esitare ad avvicinarsi al suo corpo (come biasimarli, si trattava di esperienze pericolose).
- ... se prova un altra volta a fregarmi, giuro, giuro che prendo quella fottuta stramaledetta dinamo e gliela faccio digerire a furia di calci nel culo - Scaraventò il cappello sulla poltrona e, finalmente, si voltò verso sinistra.
Cecilia ed Eleazar la fissavano, leggermente tesi, leggermente perplessi. Leggermente. Mostravano la faccia pacata di chi guarda il medesimo holofilm per la centoquarantesima volta.  Le sigarette sospese a mezz'aria come timide bandierine bianche. La ragazza tirò su col naso, sbattendo le palpebre, mentre Eleazar allungò un sorriso sornione alla volta della moglie, il bicchiere a ciondolare fra le dita.
Eir li scrutò, entrambi, immobili in quel modo assurdo. Le passarono per la testa centinaia di parole che avrebbe voluto tanto dire, ma non avrebbe detto per conclamata stanchezza. A differenza del suo amato consorte, lei non poteva addormentarsi alle cinque e svegliarsi gloriosamente a mezzogiorno. Optava sovente per l'abiura al sonno.
Registrò la cicca tra le mani di Cecilia, avanzando con passo implacabile verso la tavola. Eleazar si strinse nelle spalle, contando i passi col cervello. Sembrava un animale pronto alla punizione superiore, allertato al peggio.
S'aspettava una lavata di testa gratuita, o un ceffone magistrale; la sua donna non necessitava di ragioni specifiche. Bastava un'esistenza protratta da indomito scioperato: se Neville non raccattava un lavoro su cui rischiare la pelle, trascorreva un sacco di tempo a baloccarsi nel vuoto; per fortuna non accadeva spesso.
Eir non operò violenze. Si limitò a strappargli l'alcol di mano; lo rovesciò in gola, svuotò, sbatacchiò il vetro sul piano e puntò le dita ruvide su un fianco, sibilandogli qualcosa di incomprensibile, a denti scoperti. Poi sparì nell'altra stanza.
Ritter occhieggiò la dipartita della moglie. Poi il bicchiere miseramente deserto. Espirò, senza deporre la smorfia strafottente ed impigrita.
- tua madre mi dice di chiederti cosa hai fatto ieri sera...
Cecilia stava ancora contemplando la porta da cui era sparita Sterling.
- eh?
- tua madre mi dice di chiederti cosa hai...
- sì, non sono scema papà. in che senso lo chiede la mamma, mh?
Eleazar spense il proprio mozzicone. Sporse un braccio, le tolse la sigaretta di bocca e se la infilò tra le labbra. La figlia non tentò rappresaglie; evidentemente il discorso la toccava.
- nel senso che tua madre...
- ti dice di chiedermi cosa ho fatto ieri sera?
- eh...
- a te non interessa?
- sì, ma sono possibilista e estremamente... comprensivo
- 'kay
-...
Eir sgusciò dentro la cucina, di nuovo, strofinando il volto umido e caricando la replica.
- TUO PADRE NON HA UN CAZZO DI VOGLIA DI FARE IL PADRE. In fin dei conti, non ha mai voglia di fare niente.
Eleazar si lasciò quietamente (e giustamente) brutalizzare, scivolando col bacino sulla sedia.
Cecilia annegò le labbra nel caffè.
Sterling fu lasciata sola dai Ritter in un silenzio post-traumatico.
Non impiegò molto a perdere la pazienza.
-CHE C'È, maledizione?
Registrando una certa maretta Eleazar si strofinò la testa, e riprese l'interrogatorio.
- Cecilia, cristo santo, cosa hai fatto ieri notte fino alle cinque?
- Mah, niente, solite cose
La ragazza percorreva con le pupille il bordo della tazza.
Suo padre allargò la braccia, soddisfatto.
- Hai sentito, sterling? SOLITE COSE. A posto.
Eir sospirò, pronta a cambiare argomento. Non era una madre ossessiva, o paranoica, ma viveva i quotidiani timori che comporta amministrare un'adolescente, figlia d'un meccanico con trascorsi terroristici e d'un medico impegnato nel contrabbando. Insomma, un esercito di minacce e nemici probabili. Non s'era tatuata 'Hell is other people' addosso tanto per svago.
Suo marito, d'altro canto, ricominciò a fumare digitando qualcosa sul tech reader appena acceso.
Cecilia li racchiuse in un'unica carrellata d'occhi. Poggiò il caffè, mordicchiò le unghie della destra stemperando un ghigno trionfante, celato. Sapeva cosa fare. Adorava provocare le persone.
- Tra l'altro...ho tipo conosciuto un ragazzo, siamo stati insieme a...
- Hai fatto tipo COSA CON CHI?
Eleazar smise di fare quello che stava facendo. Ivi compreso fumare. Si raddrizzò sulla sedia, schiuse le labbra e trascese (ovviamente) la frase della figlia fino al dramma assoluto.
Cecilia sorrise, spavalda e sibillina, alzandosi in piedi di scatto sulle lunghe gambe nude; pronta ad andarsene dopo aver scombussolato un po' le carte, senza spiegazioni. Che attrice.
Eir scoppiò a ridere, con una certa affettuosa malvagità. Infilò le dita tra i capelli del suo uomo, in una sorta di carezza punitiva, insistente.
- Tuo padre è POSSIBILISTA ed ESTREMAMENTE COMPRENSIVO col culo degli altri, Cecilia...

- Ma non era lesbica? Cristo, davvero, non era lesbica?
Eleazar incrociò le braccia dietro la testa, sul cuscino, tirando un pesante respiro. Eir, il mento appoggiato sul petto del marito, si ciondolava in un ghigno poco discreto, inarcando la schiena nuda per guardarlo negli occhi.
- Ha solo detto che ha conosciuto un ragazzo, tutto qua. Non significa niente.
- Significa, significa, se ha sentito il bisogno di dircelo...
- Va bene, anche fosse?
Lui si sollevò sui gomiti, portandosela dietro. La fissò.
- Come 'anche fosse'? Sei impazzita?
Eir si sedette, a cavalcioni del suo bacino.
- Non oso nemmeno immaginare quanta gente ti sei scopato tu, tra i sedici ed i diciassette anni.
- È diverso.
- Ovvero?
- Sono un uomo.
Eleazar sorrise, di quel sorriso sfrontato e soddisfatto che aspirava al suicidio.
La reazione di Sterling non si fece attendere. Lo schiaffo (seppure meno violento del solito) si scaricò sulla guancia del marito con urgente prontezza.
- Vai a fare il maschilista del cazzo con la figlia di qualcun altro, Eleazar Ritter.


Vegliare e raccogliere


- Fallo di nuovo e te lo giuro, sei morto.-
Paul Carter era un ragazzo garbato e piuttosto discreto. Crescendo, col passare degli anni, era diventato anche più riflessivo e riservato.
Fu con placida calma che infilò quelle parole nel cervello del tipo che teneva sospeso per il collo contro il muro del saloon.
Pareva non gli costasse la minima fatica.
- Dimmi solo che hai capito, figliodiputtana. Fai un cenno.-
Prima che arrivasse il cenno arrivò un colpo dritto tra le scapole di Paul.
Incassò. Non era forte. Ma conosceva quella mano e si rese conto. Lasciò andare il tipo, che crollò a terra con poca dignità e ancor meno lucidità.
- Fatti. gli.affari. tuoi.-
Cecilia Ritter-Sterling era furiosa. E non ancora sbronza.
Paul sospirò.
-'cilia, avrebbe potuto farti del male.-
- Non.sono. affari tuoi.- respirava dalle narici dilatate.-Decido io come vivere la mia relazione.-
- E' anche affare mio se lui-
-La tua fidanzatina core di Gandhi, è affare tuo.-
Paul Carter sollevò le mani, capitolando.
- Scusa.-
-Va' all'inferno, Carter.-
Lui annuì senza una parola.Ci andò.


Gli altri tre componenti della famiglia Carter alzarono lo sguardo in un movimento sincrono quando Paul rientrò a casa. Nel bel mezzo della mattina, due ore dopo essere uscito.
-Oh- fu tutto il suo saluto. Uscì dalla porta sul retro, diretto in officina.
-....comunicativo come uno scimmione.- rilevò Sallie. Holden le tappò la bocca con una mano e la riportò sulla partitura.
- Questa mi piace, ma questa soluzione non è molto elegante. Fammi sentire di nuovo.- la richiamò al suo compito. Con l'altra mano indicava a sua moglie la porta sul retro.

L'officina era in penombra. Faceva meno caldo, così.
Quinn Thomson trovò suo figlio ad avvitare minuterie al banco, sotto un sistema di ingrandimento.
- E' frustrante.- le disse.
Sua madre avvicinò uno sgabello, assumendosi il ruolo di assistente subalterno.
-Cecilia?-
-Mh. Sta con uno scimmione alcolizzato e violento e-
-Paul-
-Eh-
-Non puoi proteggerla da tutto.-
Paul annuì. Lo imparava a sue spese da una vita. Ma era frustrante.
-....perché no.-
- Perché è la sua vita e deve imparare con l'esperienza.- Quinn Thomson era molto brava con le parole. Con i fatti un po' meno e se avesse potuto nascondere quel ragazzone sotto la sua ala di chioccia l'avrebbe fatto. Non lo avrebbe più restituito al mondo. -...come devi farlo tu.-
-Che culo.-
Quinn rise. Gli passò un cacciavite più idoneo.
- Sanno cavarsela da sole. Da generazioni.- lo tranquillizzò.
Anche Paul sorrise.
- Era così anche con sua madre?- domandò.
Quinn dondolò il capo.
-Più o meno.-
-E' frustrante lo stesso. Non so che fare.-
- Non puoi fare niente. Solo...vegliare da lontano. Ed essere pronto a raccogliere i pezzi quando si romperà.-
Paul posò il cacciavite. La guardò
- Era quello che facevi tu?-
Sua madre sorrise ai suoi capelli biondi tagliati corti, al viso asciutto, agli occhi chiari, alla barba appena accennata, ai baffetti sottili che si ostinava a portare.
- Lei lo ha fatto milioni di volte per me.-
Lui annuì. Cecilia lo aveva fatto milioni di volte per lui.
-Passami tre viti serie Z. - le mostrò una mano, sollevato.


Cecilia Ritter-Sterling aveva ammassato tutti i suoi spigoli nell'angolo più remoto della tenda.
Era dolorosamente lucida e singhiozzava non sapeva più da quanto.
Avrebbe voluto, avrebbe voluto e non avrebbe voluto.
-'cili?-
Quell'idiota lo sapeva che era lì dentro, immaginava si sentisse fino al ponte. Perché accidenti la chiamava?
-Vattene-
Silenzio.
Cerniera.
Paul Carter strisciò dentro sui gomiti con un' espressione comica che ricordava molto quella del suo bovaro di fronte al banco dei salumi. Le fece musetto, batteva le palpebre con fare ruffiano.
Sdraiato sulla pancia, dal ginocchio in giù restava comunque fuori dalla tenda.
Suo malgrado Cecilia rise.
-Idiota - lo apostrofò.
Sentì la sua risata bassa e gutturale mentre la trascinava fuori quasi di peso.
Con pazienza lui si appoggiò alla quercia e lasciò che lei si adagiasse tra le sue braccia. Le strofinava le spalle,le teneva i fianchi fermi con le ginocchia. Le avrebbe impedito di scappare.
-Allora- disse pacato.- Che è successo.-
Cecilia Ritter singhiozzò più forte.
Poi gli raccontò tutto, lo travolse col suo fiume in piena e non dimenticò un particolare.
Alla fine era distrutta, sfinita e sollevata.
Era a casa.
Era l'estate di due anni prima. Era tutto semplice, tutto bello.
Singhiozzò.
-Ebbasta!-
Rise. Sentì anche lui scuotersi piano.
- Te lo ricordi che cosa ci siamo promessi?- disse all'improvviso, svuotando la pira d'ansia in fondo allo stomaco.
- Che alla fine di tutto mi avresti fatto toccare le tette?- lo sentiva ghignare al buio.
Gli colpì una mano, sebbene lui non l'avesse mossa dal suo braccio.
- Sei un bamboccio...-
-...in un corpo enorme. Sì.-
Era una scena che si ripeteva ogni anno.
-Cosa, 'cilia?-
- ...non saremmo mai finiti a fare sesso dopo aver bevuto.-
- Ah. Sì. Vero. - Paul era pensieroso.- ...e neanche da sobri, tipo?- Visto che lo erano entrambi...
Cecilia lo colpì di nuovo e non poté fare a meno di ridere.
-Oh, miseria.- protestò lui. Ma rideva con lei.- Neanche ti sto toccando! - la stringeva coi gomiti, le sventolò le mani davanti al volto, a mo' di farfalla. O di pterodattilo, date le dimensioni.
Rimase in silenzio. Pensava. Pensava. Pensava.
Lui la cullava piano. Senza fretta. Senza...
Lo sapeva. Lo sapevano entrambi.
-Carter.-
-Eh.-
-Finirà così, sputtaneremo tutto, mh?-
Paul Carter rimase in silenzio a lungo.
-Ogni cosa.- promise affondando il naso tra i suoi capelli.

onsdag 13. juni 2012

Forget to remember

Era settembre. L'estata era passata come un lampo. A 'cilia Ritter sembrava di averla appena sfiorata con le punta delle dita, e poi basta, qualche artista dispettoso aveva gettata una secchiata di rosso sulle quercie intorno ad Oak Town, ed il grande caldo era scivolato via. Paul Carter era partito da due giorni, e quei due giorni erano sembrati un'eternità.

-Berrò per dimenticare.
L'aveva avvertito, prima che scomparisse nella jeep verso lo spazioporto, con quella piega drammatica che potrebbe solo scivolare negli occhi di una ragazzina.
Paul aveva sorriso sotto quello che si continuava ad ostentare come baffo, ma che 'cilia aveva soprannominato "l'ala di pulcino".
-Non è quello che facciamo sempre? 
Cecilia alzò le spalle.
-Suppongo.
-Mh.
-Allora ci si vede, eh?
-Eh.

Non si sfiorarono, si limitarono a scambiarsi uno sguardo livido. Paul nella jeep, la jeep nella polvere, la polvere oltre l'orizzonte. Poi il nulla. Cecilia se ne tornò a casa, alzò un dito medio alle domande di Jaden, aggrottò silenziosamente le sopracciglia allo sguardo perplesso di sua madre, saltò la partita a poker con suo padre senza presentare scuse. Si sfilò dalla casa appena non-finita la cena, e tornò alla tenda. Si sedette sul tappeto di erba ancora verde, ma dopo qualche istante dovette scostare il culetto puntuto (certamente ereditato per vie misteriose dalla zia pilota), perchè sotto le chiappe stava scomodamente infilata una bottiglia di vetro. Non era una bottiglia qualcunque. Lo capì dal peso, ancora prima di vederla. Pesava più di una bottiglia di whisky. Che avessero inventato un nuovo alcolico potente il doppio? Sorrise speranzosa, ma si ritrovò a fissare una bottiglia riempita di sassolini. La smorfia delusa, però, non fece nemmeno in tempo a sorgere. I sassolini dentro il vetro erano disposti in modo da formare una scritta. "Forget to remember". Bevi per dimenticare, ma dimentica per ricordare. Ciondolò con la testa, mentre un ghigno ebete e felice si faceva spazio fra le labbra. Rimase lì ad ubriacarsi di memorie cavate fra un buco nero e l'altro, mentre il sapore dell'estate le tornava tutto in bocca.

tirsdag 12. juni 2012

'ttaneininsalata

Eir Sterling si voltò a fissare suo marito nel suo stato semicomatoso, la morfina in circolo da appena qualche minuto, l'hypospray ed il laccio emostatico ancora appoggiati lì di fianco.

-El...
-Mmhh. No, non i cavalli.
-El...

Si stava tirando dietro un doposbornia pazzesco e l'umore non era dei migliori. Si erano ridotti a fare i giorni alterni. Era stesa nel letto da cinque ore. Sveglia da cinque ore.
-El, sono le quattro.
-No, non un cavallo, nè quattro.

Scattò su, seduta.
-EL, PUTTANEDAGUERRA, DOV'È CECILIA?
-Cecilia?

Lo sguardo vacuo frugò il suo volto, pieno di un amore placido, che sembrava stagnare lì dall'inizio dei tempi.
-.....Tua figlia, si.
-Figlia... Avevo detto che non volevo figli.


Si voltò dall'altra. Eir Sterling rimase lì, seduta nel letto a fissare la parete vuota con la sua incazzatura. Piano piano, il broncio storico si trasformò in un sorriso. Lei, a quell'età, aveva già costruito una riserva segreta dentro la sala macchine di Monroe.