Oak Town, 2437
Cecilia Ritter corse giù per le scale scalza, con la grazia animalesca di una ballerina e di un felino.
Era la quinta volta, quel giorno. Aspettava suo padre e doveva essere la prima ad aprirgli per fare ancora una volta il loro stupido gioco, come quando era bambina. Come ogni volta che lui rientrava da un incarico fuori.
Non era minimamente preparata al tipo che si trovò sulla porta e solo il cielo sa di quanta preparazione avesse bisogno.
Uno straniero- un affascinante straniero - stava appeso al soprassoglio e quasi lo sfiorava con la testa. Indossava abiti indubitabilmente core, dalla camicia dal colletto coreano, alla giacca, ai pantaloni, alle scarpe, che non erano i soliti terribili, terribili anfibi cui era tanto affezionato.
-Paul.-
E' vero: Cecilia lo disse in modo molto poco lusinghiero, quasi dubitasse che dietro a tanta figaggine potesse esserci proprio il suo compagno di giochi.
Lo straniero rise, con la voce e quel modo peculiare di Paul, che spingeva la risata su per gli zigomi alti fino agli occhi di un azzurro strano.
Lo straniero aveva anche una mano enorme, e fece il solito gesto rituale di spalmargliela in volto a mo' di brutale carezza, quello con cui si riappropriava di lei, dell'estate, di Oak Town, ogni anno.
- Quanto sei bella, a bocca aperta come una trota.- la canzonò.
Cecilia chiuse la bocca. Guardò i suoi capelli cortissimi, ridotti a uno strato leggero di peluria dorata sotto i raggi del sole morente. I baffi- gli immancabili baffi- la barba, erano un velo curato e appena accennato. Cecilia provò come al solito l'impulso di soffiare per pulirgli il volto.
Gli tirò un pugno nello stomaco. Era rituale anche quello, ma si accorse che lui aveva rinforzato parecchio la difesa addominale.
-Quando sei arrivato.-
-Ora.-
In anticipo. E Cecilia capì che era andato lì dritto dallo spazioporto. Ecco perché indossava ancora abiti core. Si scostò per lasciarlo passare e per riorganizzare in silenzio i suoi organi interni sottosopra. Credeva di avere almeno un altro paio di giorni di tempo, per allestire le difese. Non si vedevano dall'estate precedente. Da quando avevano sputtanato tutto. O meglio: da quando lui aveva mirabilmente sputtanato tutto, l'ultimo giorno. Aveva paura. Tanta.
Così tanta che a Natale aveva temporeggiato fino all'ultimo, prima di scoprire che Paul non si sarebbe allontanato da Gandhi per via del suo addestramento, tirare un sospiro di sollievo e prendere l'ultima nave che la portasse a casa sotto l'albero.
Paul non si mosse dalla soglia.
-Ciao, Eir.- salutò alzando la voce. Easy. Eir era easy. -Tuo padre c'è? -chiese subito dopo.
Suo malgrado, Cecilia ghignò.
-Sì- mentì con prontezza.
-Mi accompagni a casa?-
-Le due cose sono correlate?- domandò lei divertita.
Lui sorrise con indulgenza accettando le sue prese in giro. Era già a casa.
- Sallie si è fatta scappare con mamma che tornavo oggi. Credo abbia consultato compulsivamente tutti gli orari e se non mi vede arrivare per quando si aspetta ci troviamo i federali a circondarti casa.-
Cecilia rise. Era da Quinn.
- "...è...alto, e grosso, e muscoloso, e ha il porto d'armi e sta studiando per diventare un tiratore...ma vi prego, trovatelo, è così indifeso... non potete lasciarlo là fuori tutto solo...è quasi buio!"- la imitò Paul alla perfezione.
Anche Eir rise, dal piano di sopra.
Cecilia aveva dimenticato per un momento l'angoscia.
Non aveva fatto altro che sognare le sue ultime parole, in quei giorni.
Conosceva Paul come le sue tasche: era un idealista romantico, un adorabile idiota. Come minimo si aspettava di vederlo comparire fervente d'immutato amore e con una proposta di matrimonio.
Invece, si era dovuta ricredere. E si era rilassata.
Prese le chiavi della motorbike.
-No, che fai. A piedi.- impose lui.
Cecilia piombò nel panico di nuovo chiedendosi perché volesse passeggiare con lei e azzardò un paio di risposte per nulla consolanti.
-Dai, muoviti. Che sei diventata mentre non c'ero?-
-Hey, piantala di fare l'atletico- lo avvertì, mentre si richiudeva la porta alle spalle senza riuscire a lasciare in casa il magone.
Paul le prese la mano in un gesto naturale e abitudinario. La guardò quando la sentì irrigidirsi.
-Sul serio non ti va di camminare?- le chiese, perplesso e premuroso.
Adorabile, adorabile ingenuo.
- Sei un bamboccio in un corpo enorme, Carter.-
- Grazie, ma non ho ancora nominato le tue tette, a che devo l'onore?- chiese quieto e divertito.
Cecilia chiuse a chiave ogni pensiero nel cassetto dei calzini e si aggrappò al suo braccio.
Era felice di vederlo. Era felice che fosse lui.
Con grande sollievo di Cecilia, era tutto normale.
Avevano proseguito per un bel tratto, raccontandosi di tutto. Si tenevano per mano, costeggiavano il sentiero camminando sui due margini opposti, si spintonavano in ogni occasione, si insultavano e tornavano a cercarsi.
Non aveva mai sentito Paul tanto loquace e un po' amava e un po' temeva quella luce vagamente fanatica nel suo sguardo.
-...e la tenda?-
Non si era accorta di quanto vicini fossero alla Quercia, finché il tono da bambino deluso di Paul non l'aveva richiamata alla realtà. Avvampò, ma mantenne il controllo.
-Beh, ti aspettavo, no?-
No. Di solito la montava chi arrivava per primo. Era il regalo di benvenuto per l'altro.
Cecilia non l'aveva fatto di proposito. Nel senso: l'aveva fatto di proposito a non montarla. Non sapeva ancora quanto profonda dovesse essere la distanza tra loro due per riuscire a salvare tutto.
Paul la guardò per un attimo senza dire niente. Era un uomo, ormai.
Si lasciò cadere tra l'erba e si sfilò le scarpe.
Beh, a tratti, non sempre.
Cecilia rimase interdetta per un solo attimo, poi lo imitò e fece un sacco prima, visto che portava pratici sandali da rally.
Anche il primo bagno di stagione era un rito. Doveva avvenire a poche ore dalla ricongiunzione, per sancirla definitivamente.
Paul si rialzò aggrappandosi all'erba con i piedi nudi.
-Che bella...sensazione.- dichiarò, respirando solo allora a pieni polmoni. Si sfilò la giacca di ottima fattura facendosela roteare sopra la testa e lasciandola volare lontano con estrema noncuranza.
Cecilia rise e corse spontaneamente a sbottonargli la camicia.
Brutta, brutta cosa. Se ne accorse troppo tardi. Era un gesto così noto. E così sbagliato.
Paul le aveva stretto il polso per fermarla prima di potersene accorgere. Sicuramente aveva rievocato in lui gli stessi pensieri, le stesse sensazioni. Si erano guardati senza fiato.
Cecilia si era dedicata a sbottonare la propria camicia enorme, che portava a mo' di vestito. Sotto, aveva sempre il costume. Corse in acqua per prima per annegare e lavare via quell'attimo di imbarazzo.
-Stasera c'è una festa al Black Oak. Andiamo?- la voce tremava un po' nel suo bislacco tentativo di tornare a era tutto normale.
Paul fu invece costretto a tenere i pantaloni core. La seguì, entrando piano nel fiume.
Era così strano: così diverso e così sempre lui.
-Sì, va bene. Non ho ancora salutato la zia Roona.- spiegò, guardando accigliato la superficie dell'acqua. Dopo un momento di cipiglio ostile, si tuffò con una certa eleganza per uno grosso come lui.
Cecilia si guardò intorno, seguendolo a stento sotto il pelo dell'acqua. Non fece in tempo a voltarsi, che si sentì sollevare sulle sue spalle. Come al solito.
-HIGHASAKITE!- pronunciò Paul a mo' di grido di guerra. Cecilia stava ancora ridendo senza ritegno quando fu alla lettera lanciata in acqua e stava ancora ridendo quando riemerse cieca e sputacchiante.
La risata grossa e profonda di Paul si unì alla sua mentre la recuperava per evitare che affogasse.
-Sembri una ninfea rachitica.- le fece presente lui osservando il cespuglio di capelli pressoché impermeabile all'acqua. L'intenzione era quella di scostarle ciocche ricce dal volto e si ritrovò col suo viso tra le mani. Col suo viso pericolosamente vicino. Con le labbra che quasi sfioravano le sue.
-Ti faccio conoscere Tristan, stasera.-
-Tristan.-
-Sì-
Paul la guardò negli occhi per un momento solo e la lasciò andare.
Ecco. La parte in cui doveva spezzargli il cuore e pulircisi i piedi era quella che Cecilia preferiva meno, del suo piano geniale. Il resto, poteva funzionare alla grande.
- Un altro bullo sensibile?- chiese Paul, algido.
Sapeva essere cattivo in un modo che arrivava dentro, nel profondo, e usciva dalla schiena.
- No. E' il nuovo veterinario del Black Oak.Ci frequentiamo da un po'-
Non era proprio vero, ma data la cotta che lui dimostrava d'essersi preso, non le sarebbe stato difficile accelerare le cose e salvare Paul. Il suo Paul, quello che voleva per sé tipo per sempre. Senza il rischio di complicazioni.
Paul sollevò un sopracciglio serico. Non disse niente.
Spezzargli il cuore e calpestarlo. E assistere, impotente.
-Sali. - le ordinò lui burbero.
Cecilia impiegò un istante a capire che parlava delle sue spalle.
-Andiamo a casa via fiume?- chiese, stupita. Lo adorava, ma si era anche aspettata che Paul la piantasse lì invece di consentirle qualcosa che le piaceva tanto.
- Mhmh.- confermò l'ovvio Paul.
Cecilia si arrampicò.
-E i vestiti?-
-Ti fai dare qualcosa da Sallie.-
-E la tua giacca?-
-Non ho bisogno di una giacca per essere figo.-
Cecilia rise. Avrebbe riso a qualunque segno di distensione da parte sua. Aveva bisogno di sapere che non c'era rimasto troppo male.
-Tieniti- ingiunse lui.
Cecilia si aggrappò al suo collo, fissò la sua nuca finché non le si incrociarono gli occhi, si lasciò accarezzare dall'acqua che scorreva a fior di pelle.
C'era un punto, in particolare, che avevano rinominato "il crocevia". Era un crocicchio di correnti poco sotto la proprietà degli Hayter, dove viveva lui. Era difficile, e occorrevano le braccia e le spalle da vogatore di Paul, le sue gambe da sirena, per riportarli a casa entrambi. Adorava quel punto, il brivido che dava sfidare la corrente, lavorare insieme, vincere e riprendere fiato a riva.
Per un momento bizzarro pensò che Paul l'avrebbe abbandonata lì per vendetta.
-Non farlo.- lo implorò, e gli strinse le braccia al collo.
-'cili, se mi strangoli muori anche tu.-
- Scusa.-
-Che c'è?-
-Niente.-
-Mi stringi come se-
-...-
-Stupida. Davvero pensi che potrei lasciarti andare?-
Eeeeeeeh. Bum. Cecilia non aveva mai messo in conto il proprio cuore spezzato.
Pensò con un sussulto che Paul non stesse parlando del fiume. Si augurò che stesse parlando anche di quello, però.
- No.- ammise.
-Fai male.- le fece sapere lui, prima di rovesciarla in acqua.
Paul era sostanzialmente buono. Era incapace di vendicarsi, non concepiva neanche il pensiero della vendetta.
Ma si tolse i suoi sfizi, a tormentarla, e Cecilia lo lasciò fare a mo' di risarcimento.
Attraversarono il crocevia lavorando ancora una volta in due.
Mentre riprendevano fiato a riva Cecilia pensò che erano riusciti a superare un'altra prova, insieme.
E non parlava solo del fiume.
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