torsdag 14. juni 2012

Vegliare e raccogliere


- Fallo di nuovo e te lo giuro, sei morto.-
Paul Carter era un ragazzo garbato e piuttosto discreto. Crescendo, col passare degli anni, era diventato anche più riflessivo e riservato.
Fu con placida calma che infilò quelle parole nel cervello del tipo che teneva sospeso per il collo contro il muro del saloon.
Pareva non gli costasse la minima fatica.
- Dimmi solo che hai capito, figliodiputtana. Fai un cenno.-
Prima che arrivasse il cenno arrivò un colpo dritto tra le scapole di Paul.
Incassò. Non era forte. Ma conosceva quella mano e si rese conto. Lasciò andare il tipo, che crollò a terra con poca dignità e ancor meno lucidità.
- Fatti. gli.affari. tuoi.-
Cecilia Ritter-Sterling era furiosa. E non ancora sbronza.
Paul sospirò.
-'cilia, avrebbe potuto farti del male.-
- Non.sono. affari tuoi.- respirava dalle narici dilatate.-Decido io come vivere la mia relazione.-
- E' anche affare mio se lui-
-La tua fidanzatina core di Gandhi, è affare tuo.-
Paul Carter sollevò le mani, capitolando.
- Scusa.-
-Va' all'inferno, Carter.-
Lui annuì senza una parola.Ci andò.


Gli altri tre componenti della famiglia Carter alzarono lo sguardo in un movimento sincrono quando Paul rientrò a casa. Nel bel mezzo della mattina, due ore dopo essere uscito.
-Oh- fu tutto il suo saluto. Uscì dalla porta sul retro, diretto in officina.
-....comunicativo come uno scimmione.- rilevò Sallie. Holden le tappò la bocca con una mano e la riportò sulla partitura.
- Questa mi piace, ma questa soluzione non è molto elegante. Fammi sentire di nuovo.- la richiamò al suo compito. Con l'altra mano indicava a sua moglie la porta sul retro.

L'officina era in penombra. Faceva meno caldo, così.
Quinn Thomson trovò suo figlio ad avvitare minuterie al banco, sotto un sistema di ingrandimento.
- E' frustrante.- le disse.
Sua madre avvicinò uno sgabello, assumendosi il ruolo di assistente subalterno.
-Cecilia?-
-Mh. Sta con uno scimmione alcolizzato e violento e-
-Paul-
-Eh-
-Non puoi proteggerla da tutto.-
Paul annuì. Lo imparava a sue spese da una vita. Ma era frustrante.
-....perché no.-
- Perché è la sua vita e deve imparare con l'esperienza.- Quinn Thomson era molto brava con le parole. Con i fatti un po' meno e se avesse potuto nascondere quel ragazzone sotto la sua ala di chioccia l'avrebbe fatto. Non lo avrebbe più restituito al mondo. -...come devi farlo tu.-
-Che culo.-
Quinn rise. Gli passò un cacciavite più idoneo.
- Sanno cavarsela da sole. Da generazioni.- lo tranquillizzò.
Anche Paul sorrise.
- Era così anche con sua madre?- domandò.
Quinn dondolò il capo.
-Più o meno.-
-E' frustrante lo stesso. Non so che fare.-
- Non puoi fare niente. Solo...vegliare da lontano. Ed essere pronto a raccogliere i pezzi quando si romperà.-
Paul posò il cacciavite. La guardò
- Era quello che facevi tu?-
Sua madre sorrise ai suoi capelli biondi tagliati corti, al viso asciutto, agli occhi chiari, alla barba appena accennata, ai baffetti sottili che si ostinava a portare.
- Lei lo ha fatto milioni di volte per me.-
Lui annuì. Cecilia lo aveva fatto milioni di volte per lui.
-Passami tre viti serie Z. - le mostrò una mano, sollevato.


Cecilia Ritter-Sterling aveva ammassato tutti i suoi spigoli nell'angolo più remoto della tenda.
Era dolorosamente lucida e singhiozzava non sapeva più da quanto.
Avrebbe voluto, avrebbe voluto e non avrebbe voluto.
-'cili?-
Quell'idiota lo sapeva che era lì dentro, immaginava si sentisse fino al ponte. Perché accidenti la chiamava?
-Vattene-
Silenzio.
Cerniera.
Paul Carter strisciò dentro sui gomiti con un' espressione comica che ricordava molto quella del suo bovaro di fronte al banco dei salumi. Le fece musetto, batteva le palpebre con fare ruffiano.
Sdraiato sulla pancia, dal ginocchio in giù restava comunque fuori dalla tenda.
Suo malgrado Cecilia rise.
-Idiota - lo apostrofò.
Sentì la sua risata bassa e gutturale mentre la trascinava fuori quasi di peso.
Con pazienza lui si appoggiò alla quercia e lasciò che lei si adagiasse tra le sue braccia. Le strofinava le spalle,le teneva i fianchi fermi con le ginocchia. Le avrebbe impedito di scappare.
-Allora- disse pacato.- Che è successo.-
Cecilia Ritter singhiozzò più forte.
Poi gli raccontò tutto, lo travolse col suo fiume in piena e non dimenticò un particolare.
Alla fine era distrutta, sfinita e sollevata.
Era a casa.
Era l'estate di due anni prima. Era tutto semplice, tutto bello.
Singhiozzò.
-Ebbasta!-
Rise. Sentì anche lui scuotersi piano.
- Te lo ricordi che cosa ci siamo promessi?- disse all'improvviso, svuotando la pira d'ansia in fondo allo stomaco.
- Che alla fine di tutto mi avresti fatto toccare le tette?- lo sentiva ghignare al buio.
Gli colpì una mano, sebbene lui non l'avesse mossa dal suo braccio.
- Sei un bamboccio...-
-...in un corpo enorme. Sì.-
Era una scena che si ripeteva ogni anno.
-Cosa, 'cilia?-
- ...non saremmo mai finiti a fare sesso dopo aver bevuto.-
- Ah. Sì. Vero. - Paul era pensieroso.- ...e neanche da sobri, tipo?- Visto che lo erano entrambi...
Cecilia lo colpì di nuovo e non poté fare a meno di ridere.
-Oh, miseria.- protestò lui. Ma rideva con lei.- Neanche ti sto toccando! - la stringeva coi gomiti, le sventolò le mani davanti al volto, a mo' di farfalla. O di pterodattilo, date le dimensioni.
Rimase in silenzio. Pensava. Pensava. Pensava.
Lui la cullava piano. Senza fretta. Senza...
Lo sapeva. Lo sapevano entrambi.
-Carter.-
-Eh.-
-Finirà così, sputtaneremo tutto, mh?-
Paul Carter rimase in silenzio a lungo.
-Ogni cosa.- promise affondando il naso tra i suoi capelli.

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