onsdag 27. juni 2012
Battaglie, a ognuno le sue
Eleazar Ritter studiava sua moglie con espressione severa attraverso la luce notturna che filtrava dalla finestra.
Lei gli restituiva uno sguardo irremovibile semiaffondato nel cuscino.
Risate in sottofondo.
- Non puoi.- fu Eir a rompere il silenzio.
-Sì che posso. Lo butto fuori.-
- Ha diciassette anni.-
- E allora. Io alla sua età-
-Quinn ci ha chiesto di dargli un'occhiata finché non tornano.-
-L'ho guardato fin troppo per i miei gusti.-
-Ci hai solo cenato insieme e l'hai relegato a dormire sul divano.-
-...-
-...-
Eleazar si girò sulla schiena e si impegnò a guardare il soffitto con la perizia di un architetto di Cap City.
- Voglio dirti solo una parola : pazienza.- le fece presente con sussiego. La sua la stava perdendo tutta, a forza di sentire risolini dal piano di sotto.
- Ne ho una anche io e fa giusto rima: astinenza.- fu pronta a rispondere lei. Guardava il suo profilo non senza un certo divertimento.
Eleazar si voltò.
- Potrebbe star insidiando TUA figlia in questo stesso momento.- giocò la carta della responsabilità con tono leggero, ma l'indice che le puntava contro era categorico. - Non so perché lo lasciamo dormire qui.-
- El, ma l'hai visto?-
-...-
- E' Quinn con un accenno di barba, che vuoi che faccia. Al massimo è TUA figlia che può insidiare lui e finisce che ci tocca anche andare a salvarlo.-
-...-
-...-
-Sì, è vero.-
Eleazar stava già saltellando fuori mentre cercava di infilarsi i pantaloni.
- E adesso dove vai.- gli chiese lei mentre lui apriva la porta e una zaffata di risate soffocate li raggiungeva.
Eleazar tese l'orecchio: voci, cigolii, versi strani...e le molle del divano.
-...adesso lo ammazzo.-
Eir si voltò sulla schiena, rassegnata a concedergli dieci secondi di vantaggio.
Tutte le luci- tutte insieme- si accesero di colpo mentre qualcuno ciabattava giù per le scale.
Paul e Cecilia rimasero bloccati esattamente dov'erano in un turbinio di piume. Chiunque fosse di ronda, arrivava nel momento meno adatto per interrompere la loro attività: Cecilia stava avendo la meglio ed esultava in piedi sul divano scaricando salve da cinque cuscini rotondi su un dimesso Paul che cercava, invano, di farsi piccolo dietro una sedia.
Si guardarono solo un momento, gli occhi dilatati dall'eccitazione e dall'allarme, e seppero immediatamente cosa fare.
Quando le gambe, il torace, il nahm il viso di Eleazar Ritter comparvero sul piano, erano pronti.
Nonostante tutte le congetture e la speranza di poter sbattere fuori Paul Carter, Eleazar si era premurato di fare molto molto rumore, scendendo. Nella seppur remota possibilità, non avrebbe retto a una scena di quel tipo.
Li trovò schierati come soldatini, in piedi contro il divano, spalla a spalla,completamente vestiti. Notò con rammarico che Paul indossava un pigiama integrale, privandolo così di una scusa per sottrargli punti.
-Papà.-
-Mr. Ritter.-
Eleazar ghignò dentro. Sua moglie era stata subito "Eir".
Li guardò a lungo, l'espressione indecifrabile.
- Hai perso la strada per la tua stanza?- chiese a Cecilia. In realtà squadrava Paul con aria crudele. Il ragazzo non si muoveva. Probabilmente neanche respirava.
Eleazar si divertiva come un pazzo.
Piume sparse vorticavano nell'aria. E stavano attaccate ai loro capelli, ai vestiti.
Con discrezione, Paul ne tolse una dai capelli di Cecilia. Come se nascondere quella traccia non consentisse di capire che cosa fosse accaduto lì.
- Ho portato un cuscino a Paul- gli rispose Cecilia, impenitente. Era ovviamente rilassata.
-Un cuscino.-
-Sì.-
-Già-
-Tu invece che ci fai qui?- chiese lei ciarliera. Sì, si divertiva anche lei.
-Ci vivo.-
-Intendo, a quest'ora.-
-Ci vivo anche a quest'ora.-
- Di sotto, papà-
Eleazar la squadrò a lungo. Era orgoglioso di sua figlia.
-E' comodo il divano, Thomson?- domandò, cambiando preda all'improvviso. Lo vide trasalire.
- Er, Carter, signore.-
Sembrava un soldatino. Era divertente.
- Thomson.- insisté. Eir aveva ragione. Era uguale a sua madre.
Lui sembrò capire.
-Sì. Signore.-
Eleazar si esibì in uno dei suoi soliti sorrisi predatori. Non aveva più niente da dire.
-Fila in camera tua.- esalò all'aria mentre cominciava a risalire. Sentì la risatina di sua figlia. Non era mai stata mandata in camera sua. Al massimo, capitava che fosse lei a mandarci i genitori, a mo' di punizione.
Aveva guadagnato due gradini quando un cuscino lo colpì alla nuca.
Sentì la risata aperta di Cecilia e il respiro mozzo e impanicato di Paul.
Raccolse il cuscino lentamente. Si voltò piano.
La guerra era appena iniziata.
-Ehm, caffè? - propose Eir con disinvoltura quella mattina.
Quinn Thomson batté le palpebre chiedendosi se non stesse ancora dormendo.
C'erano piume nei suoi riccioli lenti. Piume a terra, piume sui mobili, piume che vorticavano nell'aria.
-Che...avete tolto di mezzo un pollaio, per la colazione?- domandò la bionda, adattandosi alla disinvoltura d'ambiente.
- Non abbiamo più un solo cuscino,in casa.- spiegò Eleazar, comparendo sulla porta con sussiego e con un paio di portentose occhiaie.
- So che cosa regalarvi per Natale.- promise Quinn. - Paul si è...- un po' era evidente che le sembrasse stupido chiedere se suo figlio si fosse comportato bene. C'erano mucchi di piume ovunque. Anche tra i suoi capelli, quando uscì. Diede il cinque a Eir in maniera molto cameratesca. Non si azzardò, con Eleazar.
Anche Cecilia aveva piume tra i capelli, quando seguì Paul.
- Beh, grazie per...- no, non era sicura che gli avessero dato un' occhiata e che avessero contenuto le sue energie adolescenziali.-...tutto.- optò, riuscendo a trovare una definizione onnicomprensiva.
Eir ghignava dondolandosi sulla porta.
Anche la bionda rise.
-Quando non riesco a tenerlo ve lo mando con una pila di cuscini.- promise.
Paul le sfilò le chiavi della jeep e lei alzò gli occhi al cielo. Salutò, rassegnata al posto del passeggero.
I tre Ritter rimasero sulla soglia a guardarli allontanarsi .
- Comunque, è una schiappa.- decretò Eleazar, volgendosi verso l'interno.
-Intanto, tu hai perso e ora pulisci.- lo punzecchiò Cecilia.
-Solo perché è arrivata tua madre a darvi manforte. C'era un netto squilibrio numerico.-
-E fino ad allora eravate uno contro uno, Paul non osava colpirti.- fece presente Eir con molto realismo.
- Bene. Deve portare rispetto.-
-Intanto, "rispetto", vedi di pulire. Vogliamo trovare tutto in ordine, quando ci svegliamo.-
Sterling madre e Sterling figlia risalirono le scale con una certa baldanzosa soddisfazione.
Finalmente solo, Eleazar si accese una sigaretta col solito ghigno sornione. Sprofondò nel divano, sollevando sbuffi di piume.
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mandag 25. juni 2012
High as a kite
Estate 2530, Ghandi
Holden Carter attivò la chiamata via cortex, la bloccò prima che potesse essere inoltrata, incassò la testa nelle spalle e si voltò verso sua moglie. Che in mano aveva una fetta di pane attaccata ad un coltello. In mezzo, del burro. La fissò con sguardo sofferto.
-Perchè io?
-Perchè ti avevo detto di far piombare le finestre.
-Ma...
Sguardo impietoso di Quinn Thomson.
-Ma...
Passo in avanti di Quinn Thomson. Fetta con burro in mano.
-Okay, okay. Solo... Lui. Non lei.
-Perchè conti sul fatto che sia fatto?
-Perchè credo che sia in viaggio.
-Furbo.
Gli concesse Quinn. Holden alzò le spalle larghe, prese un bel respiro ed avviò la chiamata. All'altro lembo del cortex, su una rotta sicura fra Clackline e Goldera, Eleazar Ritter stava cazzegg... parlando di lavoro con il capitano Neville davanti ad una bottiglia di bourbon. Accettò la chiamata con un'espressione placidamente stupita.
-Carter?
-Carter?- Gli fece eco Vergil, seduto poco lontano.
-Ritter.- Rispose la voce di Holden Carter.
-Salve, Carter.
-Salve, Ritter.
-Mmm.
-Come va?
-Molto bene, stiamo smistando una partita di blast.
-Ah, bene.
-Già.
-Mmm.
-Carter, cazzo è successo?
-Ahm.
-Carter?
-Ho perso tua figlia.
-Cos...
-I ragazzi sono scomparsi.
-...
-NON in quel senso
-...
-Il fatto è che non ho sigillato...
-PIOMBATO- lo corresse la voce di Quinn, vicinissima.
-..Piombato le finestre della loro camera.
-Loro camera?- Indagò la voce di Ritter.
-Sua camera.
-...
-Ritter, abbiamo già chiamato lo sceriffo, ma... Non sono ancora passate quaranta ore e sai, con la questione dell'idolo scomparso dal tempio....
Ritter non "sapeva". Eleazar Ritter era cresciuto su Corona, dove un bambino valeva cento idoli buddisti dorati.
-Mh,
-Ritter, giuro, sto...iamo facendo tutto il possibile. Solo, ti prego, non...
-...Dirlo ad Eir?
-Eh...
-Secondo me lo sa già. Quinn lo sa?
-...
-Scherzo, Carter.
-Ah.
Ritter si stava quasi divertendo. Quasi. Vergil se la stava spassando, su quello non c'era dubbio. Entrambi sapevano che Eir si sarebbe limitata ad alzare le spalle e svuotare un bicchiere di scotch. Lo sapeva anche Quinn, che continuava ad ostentare un broncio preoccupatissimo sul viso ancora infantile nonostante gli anni passati.
-Ti dò venti ore, Carter. Trovali.
Concluse Ritter, prima di riattaccare e tornare a fare il coglione con Neville.
Intanto, su un marciapiede a caso di Ghandi, 'Cilia Ritter e Paul Carter stavano cercando di accordarsi sulla suddivisione dei compiti. Avevano già buttato i cappelli in terra, giusto per essere pronti ad accogliere la sicura gratitudine del pubblico passante.
-Voglio cantare anche io.
Protestò Paul
-Sei stonato come una campana rotta.
Osservò placidamente 'Cilia.
-Anche tu.
Ribattè lui, in mancanza di meglio. Era un pessimo contaballe. Non riusciva a sostenere il suo sguardo per più di un paio di secondi, e lei lo sapeva. Un sorrisetto vittorioso s'incrostò sulle labbra.
-Tieni il ritmo, se ci riesci.
Gli affidò il tamburo sottratto alla collezione di Holden, tossicchando un poco per sgranchire l'ugola. Paul iniziò a colpire la pelle tesa sullo strumento con incertezza regolare. Pensava fosse ritmo. 'Cilia ondeggiò per alcuni secondi, cambiando direzione ad ogni colpo, prima di scollare le labbra.
-One of these days I'll get my boat on the water, my boat on the water one of these days...
La sua voce era ruvida come la lingua di un gattino, rabbiosamente limpida, incazzata nel profondo. Così come i ricci, come gli occhi taglienti, come tutta lei. Paul colpì il tamburo con più entusiasmo, tentando di sovrastare il rumore assordante del proprio cuore che sembrava battere ovunque. Nella gola, nelle tempie, fra i polpastrelli.
-My girl Cecilia Carter...
Sorrideva. Sorrideva in modo storto ed ondeggiava con i fianchi. Oltre al tamburo, un paio di tonfi metallici accompagnavano la sua voce, di tanto in tanto. Perso in un momento senza controllo, Paul credette di sentire miloni in entrata, nei loro cappelli. Controllando dopo, si sarebbero rivelati tredici dollari e sette cent.
Cecilia stava per attaccare la seconda strofa, quando la vista della divisa da sceriffo ne scoraggiò la cadenza ed il tono.
-Hrrrmm.
Finì un po' come finiscono i nastri quando al mangiacassette viene strappata la corrente. Uno sguardo cristallino, ripido. Svuotarsi i cappelli in tasca, tener ben stretto il tamburo e mettersi a correre come dei dannati. Svuotare i polmoni, appendere il respiro ad un gancio per recuperarlo solo fino all'ultima fermata. Le gambe già in fuiamme, si buttarono in uno shuttle pubblico di passaggio. Crollarono sui sedili scomodi in cuoio, usurati dalla condivisione di tutte le chiappe di Ghandi. Le gambe molli, il cuore come un rinoceronte impazzito nel petto. Ci mistero tre minuti a recuperare abbastanza fiato per riuscire a scoppiare a ridere.
-Basta. Vado.
Dichiarò Holden Carter, incassando il fatto che ora mancavano solo diciotto ore al termine stabilito da Ritter.
-....Dove?
Tentò di informarsi Quinn.
-A cercarli.
-Dove.
-...
Si guardarono per un lungo attimo. Divisero un sorriso, da buoni compagni di merenda. Un sorriso stanco, vagamente più rasserenato.
-Vengo con te.
Venne anche la fetta imburrata.
'Cilia e Paul saltarono giù dallo shuttle appena in tempo per capire che non avevano la più pallida idea di dove si trovassero. Condivisero un ghigno, quindi attraversarono la strada e si infilarono sotto l'arco dorato che dava su un parco verdissimo. Non era come gli altri parchi di Ghandi, il giardino di Zeduah. Era principalmente un ammasso di grandi prati verdi, erba costantemente tagliata all'altezza di sei pollici e mezzo, qua e là qualche fontanta e, molto più lontano, il tempio di Devi-Mahatmya. 'Cilia si sfilò le scarpe di tela ed affondò le dita dei piedi nell'erba morbida. Paul la imitò. Camminarono per parecchio tempo, prima di accorgersi che no, ora non si ricordavano nemmeno da dove fossero partiti. Fecero per cambiare direzione per l'ennesima volta quando un battito costante, morbido, pesante, fece incontrare di nuovo i loro sguardi. Constatato che non si trattava di una condivisione di cuore, avanzarono oltre un laghetto, fino ad aprirsi la vista fra gli alberi ed i cespugli e trovarsi davanti ad un tempio bianco. Bianchissimo, abbagliante. Un gruppo di donne e uomini in tunica bianca stava suonando, danzando in un mondo perso. Una miriade di acquiloni colorati galleggiavano nel vento, fermati a terra solo da fili sottili e chiodi infilzati nel terreno. Sull'erba, vicino ai chiodi, centinaia di lanterne bianche e rosse aspettavano spente, quiete. Si guardarono. Paul scosse il capo. 'Cilia annuì.
Holden incassò la testa nelle spalle, per l'ennesima volta. Quinn brandì il coltello corredato da fetta imburrata con meno convinzione.
-Sicuro?
Indagò, fissando un vecchio ubriacone. L'unico che si fosse degnato di rispondere loro, quando avevano chiesto di due ragazzini sui tredici-quattordici anni dall'aria scapigliata.
-Sssicuro. Tipo.. Shono shaliti sullo shhhuuuuut*hic*le. Quando shono arrivati gnli sbhirri.
-Che numero.
-Mmhhr. Tipo il...trentasedishi...o il ventottho. Non ricordo.
L'uomo crollò a terra, appoggiando il muso nella propria bava. Holden si voltò verso Quinn. Il trentasei ed il ventotto portavano in due punti esattamente opposti di Ghandi. Sempre che fossero stati lì, e che fossero saliti su uno shuuuuttle.
'Cilia stava già battendo le mani al ritmo del grande tamburo. Le era stata infilata una tunica bianca, troppo grande. Quella di Paul era troppo stretta, e lo faceva sembrare un misto fra un senatore dell'antichissima Roma della terra che fu, ed uno spogliarellista del Nightingale di Meili. Anche lui batteva le mani, ciccando il ritmo di tanto in tanto, troppo impegnato a far sì che la tunica non si arrampicasse su per le gambe rivelando più del dovuto.
-'ttanedaguerra, Paul. Guardaguardaguarda.
Miagolò lei con aria eccitatissima. Paul serrò la mano forte sotto il lembo della tunica per tenerlo a bada, e spostò lo sguardo sul punto indicato. Alcune donne anziane, capelli bianchi quanto le loro tuniche, si stavano avvicinando ai chiodi. Ognuna ad un gruppetto di chiodi.
-Noi siamo come loro.
-Come le vecchie? - Paul storse il naso.
-No, bamboccione. Come gli aquiloni. Vedi, quelli eravamo noi stamattina.
Ghignò sordamente. Adorava i clichè. Era il periodo in cui aveva valutato cosa tatuarsi sulla schiena. Prima che Ritter la ripescasse a due millimetri dalla punta riempita d'inchiostro, tirandola verso casa per le orecchie.
Paul annuì, dando segno di seguire la metafora, ora. Sapeva anche cosa sarebbe successo. Le anziane si accucciarono a terra, il ritmo del tamburo si intensificò. Le mani di 'Cilia cercarono quelle di Paul, tirandoselo dietro in una girandola spericolata. Non sapevano ballare. Per nulla. I ritmi accelerarono. Quello del cuore, dei cuori, quello della musica, quello del vento, quello dei pensieri. Quello del profumo dei capelli di lei infilato fra le narici di lui. Quello dei piedi a sfilare sull'erba, quella dello sfondo sfuocato, tirato brusacamente come le linee di un pittore impaziente. Quello del 'Verse. Poi il silenzio, improvviso. Alla fine del vortice, solo il silenzio. Le mani incassarono uno strappo brusco. Crollarono a terra. Non solo loro due, ma tutti. Tutte le tuniche bianche. Le vecchie liberarono i chiodi. Liberarono centotredici aquiloni nel cielo estivo di Ghandi. I volti, tutti i volti alzati verso il cielo. Le ombre di centotredici aquiloni a sfiorarli.
-Come loro. -Ripetè Paul
-In alto come loro.
-Highasakite. -Sbuffò Paul, affondando il viso di lato, fra i capelli di Cecilia Ritter. Solo dopo qualche istante si accorse del fatto che non era l'erba, quella. Si ritirò con discrezione, appuntando di nuovo gli occhi al cielo in mille colori. Il più grande quadro del 'Verse si stava agitando sopra di loro. E sarebbe sparito nel giro di pochi secondi.
-Highasakite.
Quinn Thomson e Holden Carter erano piantati fermi, in piedi davanti al centro di sperimentazione aerospaziale di Ghandi.
-Cosa, vuole fare il pilota anche lui, adesso?
-Non sono qui.
Assicurò Quinn, mentre si avviavano verso la reception.
-Scommettiamo?
Ghignò Holden, superando le porte ruotanti. Fecero quel gioco scemo che facevano sempre. Si inseguirono per tre giri e mezzo prima di entrare. Prima di avvinarsi alla risposta, ed incassare la risposta limpidissima.
-Okay.
Ammise lui, fissando la moglie.
-Cosa ho perso?
Quinn sorrise silenziosamente, prendendogli la mano con la propria piccola sottile. Se lo trascinò dietro, sempre brandendo il paneeburro nell'altra.
-Parliamo di cosa ho vinto io, piuttosto.
Era calata la sera. Il sole era scivolato via dal cielo di Elèria tanto rapidamente quanto l'aveva invaso la mattina, poco dopo che si dileguassero dalla stanza di Paul. Il gruppo di fedeli s'era inspessito a poco a poco, e, senza accorgersene, si erano trovati in mezzo ad una folla in tunica bianca. I canti iniziarono solo con il calar del sole. Un uomo giovane, con piume nei capelli ed un trucco selvaggio sul volto, alzò nell'aria una voce dolcissima. Una donna vestita di rosso lo accompagnava al tamburo, mentre altre donne e uomini in mezzo alla folla iniziarono a tessere le loro voci insieme fino a fonderle in un unico e perfetto arazzo. Solo quando il buio staccò l'ultimo morso all'iris una delle anziane si chinò, raccogliendo la lanterna di carta ai suoi piedi. La alzò sopra di sè, in modo da mostrarla a tutti.
-Dimentichiamo per ricordare. E' nel tutto che troviamo il singolo, e solo nell'universo infinito troviamo noi stessi. Le nostre anime tornano a fondersi.
I fedeli imitarono l'anziana, raccogliendo le centinaia di lanterne appoggiate a terra. Le mani libere, come quelle di Paul Carter e Cecilia Ritter, cozzavano seguendo il ritmo del tamburo. C'era un'euforia pacifica nell'aria. Poi fu questione di istanti. Di battiti cardiaci, di mezzi respiri. Le lanterne si accesero. Tutte. Le dita mollarono la presa, e nel cielo quieto del giardino di Zeduah si sollevò una nuvola di luci volanti di carta. Galleggiavano nell'aria come centinaia di lucciole obese, come pensieri fatti e non finiti. Come parti di tutti in cerca di un rifugio migliore. Come le forze del cuore in cerca del sole. Non ci furono più parole. Paul prese Cecilia, e se la piazzò sulle spalle. In un tentativo di permetterle di aggrapparsi ad una luce e sparire in cielo. Nel volo più perfetto che la vita le avrebbe mai permesso. Era la sua parte migliore, lei. Quella destinata al sole. Quella da cui ci si separa solo con la consapevolezza che in realtà è tutto. Tutto.
Meno un'ora alla fatidica chiamata cortex di Eleazar Ritter. Holden Carter portava la disperazione in volto, e Quinn Thomson fra le braccia. Raggiunse il viale familiare, quello di casa. Non sapeva più che fare. Il cielo a Nord iniziava a macchiarsi delle leccate violacee dell'alba. Il sole stava per baciare i palazzi più alti di Ghandi, quelli che si attorcigliavano come piante esotiche fatte di vetro. Era stanco, l'intero corpo pesante, i passi trascinati. Inciampò quasi, poco distante dalla porta. Ciondolò, recuperò l'equlibrio, ed alzò lo sguardo. Dalla parte opposta dello stesso viale, era in arrivo una figura fin troppo conosciuta. Una figura sola, composta da due pezzi perfettamente compatibili. Cecilia Ritter dormiva, crollata sulle spalle e sulla schiena di Paul Carter, che la sosteneva fieramente. Aveva l'aria di un cavaliere tornato dalla battaglia. Vittorioso. I due Carter si fermarono, ognuno a tre metri esatti dalla porta, con tre metri esatti fra di loro. E sorrisero. In silenzio.
Il giorno dopo, Quinn Thomson prese la saldatrice, quattro sbarre metalliche, e piombò le finestre della stanza di suo figlio.
-Tieni il ritmo, se ci riesci.
Gli affidò il tamburo sottratto alla collezione di Holden, tossicchando un poco per sgranchire l'ugola. Paul iniziò a colpire la pelle tesa sullo strumento con incertezza regolare. Pensava fosse ritmo. 'Cilia ondeggiò per alcuni secondi, cambiando direzione ad ogni colpo, prima di scollare le labbra.
-One of these days I'll get my boat on the water, my boat on the water one of these days...
La sua voce era ruvida come la lingua di un gattino, rabbiosamente limpida, incazzata nel profondo. Così come i ricci, come gli occhi taglienti, come tutta lei. Paul colpì il tamburo con più entusiasmo, tentando di sovrastare il rumore assordante del proprio cuore che sembrava battere ovunque. Nella gola, nelle tempie, fra i polpastrelli.
-My girl Cecilia Carter...
Sorrideva. Sorrideva in modo storto ed ondeggiava con i fianchi. Oltre al tamburo, un paio di tonfi metallici accompagnavano la sua voce, di tanto in tanto. Perso in un momento senza controllo, Paul credette di sentire miloni in entrata, nei loro cappelli. Controllando dopo, si sarebbero rivelati tredici dollari e sette cent.
Cecilia stava per attaccare la seconda strofa, quando la vista della divisa da sceriffo ne scoraggiò la cadenza ed il tono.
-Hrrrmm.
Finì un po' come finiscono i nastri quando al mangiacassette viene strappata la corrente. Uno sguardo cristallino, ripido. Svuotarsi i cappelli in tasca, tener ben stretto il tamburo e mettersi a correre come dei dannati. Svuotare i polmoni, appendere il respiro ad un gancio per recuperarlo solo fino all'ultima fermata. Le gambe già in fuiamme, si buttarono in uno shuttle pubblico di passaggio. Crollarono sui sedili scomodi in cuoio, usurati dalla condivisione di tutte le chiappe di Ghandi. Le gambe molli, il cuore come un rinoceronte impazzito nel petto. Ci mistero tre minuti a recuperare abbastanza fiato per riuscire a scoppiare a ridere.
-Basta. Vado.
Dichiarò Holden Carter, incassando il fatto che ora mancavano solo diciotto ore al termine stabilito da Ritter.
-....Dove?
Tentò di informarsi Quinn.
-A cercarli.
-Dove.
-...
Si guardarono per un lungo attimo. Divisero un sorriso, da buoni compagni di merenda. Un sorriso stanco, vagamente più rasserenato.
-Vengo con te.
Venne anche la fetta imburrata.
'Cilia e Paul saltarono giù dallo shuttle appena in tempo per capire che non avevano la più pallida idea di dove si trovassero. Condivisero un ghigno, quindi attraversarono la strada e si infilarono sotto l'arco dorato che dava su un parco verdissimo. Non era come gli altri parchi di Ghandi, il giardino di Zeduah. Era principalmente un ammasso di grandi prati verdi, erba costantemente tagliata all'altezza di sei pollici e mezzo, qua e là qualche fontanta e, molto più lontano, il tempio di Devi-Mahatmya. 'Cilia si sfilò le scarpe di tela ed affondò le dita dei piedi nell'erba morbida. Paul la imitò. Camminarono per parecchio tempo, prima di accorgersi che no, ora non si ricordavano nemmeno da dove fossero partiti. Fecero per cambiare direzione per l'ennesima volta quando un battito costante, morbido, pesante, fece incontrare di nuovo i loro sguardi. Constatato che non si trattava di una condivisione di cuore, avanzarono oltre un laghetto, fino ad aprirsi la vista fra gli alberi ed i cespugli e trovarsi davanti ad un tempio bianco. Bianchissimo, abbagliante. Un gruppo di donne e uomini in tunica bianca stava suonando, danzando in un mondo perso. Una miriade di acquiloni colorati galleggiavano nel vento, fermati a terra solo da fili sottili e chiodi infilzati nel terreno. Sull'erba, vicino ai chiodi, centinaia di lanterne bianche e rosse aspettavano spente, quiete. Si guardarono. Paul scosse il capo. 'Cilia annuì.
Holden incassò la testa nelle spalle, per l'ennesima volta. Quinn brandì il coltello corredato da fetta imburrata con meno convinzione.
-Sicuro?
Indagò, fissando un vecchio ubriacone. L'unico che si fosse degnato di rispondere loro, quando avevano chiesto di due ragazzini sui tredici-quattordici anni dall'aria scapigliata.
-Sssicuro. Tipo.. Shono shaliti sullo shhhuuuuut*hic*le. Quando shono arrivati gnli sbhirri.
-Che numero.
-Mmhhr. Tipo il...trentasedishi...o il ventottho. Non ricordo.
L'uomo crollò a terra, appoggiando il muso nella propria bava. Holden si voltò verso Quinn. Il trentasei ed il ventotto portavano in due punti esattamente opposti di Ghandi. Sempre che fossero stati lì, e che fossero saliti su uno shuuuuttle.
'Cilia stava già battendo le mani al ritmo del grande tamburo. Le era stata infilata una tunica bianca, troppo grande. Quella di Paul era troppo stretta, e lo faceva sembrare un misto fra un senatore dell'antichissima Roma della terra che fu, ed uno spogliarellista del Nightingale di Meili. Anche lui batteva le mani, ciccando il ritmo di tanto in tanto, troppo impegnato a far sì che la tunica non si arrampicasse su per le gambe rivelando più del dovuto.
-'ttanedaguerra, Paul. Guardaguardaguarda.
Miagolò lei con aria eccitatissima. Paul serrò la mano forte sotto il lembo della tunica per tenerlo a bada, e spostò lo sguardo sul punto indicato. Alcune donne anziane, capelli bianchi quanto le loro tuniche, si stavano avvicinando ai chiodi. Ognuna ad un gruppetto di chiodi.
-Noi siamo come loro.
-Come le vecchie? - Paul storse il naso.
-No, bamboccione. Come gli aquiloni. Vedi, quelli eravamo noi stamattina.
Ghignò sordamente. Adorava i clichè. Era il periodo in cui aveva valutato cosa tatuarsi sulla schiena. Prima che Ritter la ripescasse a due millimetri dalla punta riempita d'inchiostro, tirandola verso casa per le orecchie.
Paul annuì, dando segno di seguire la metafora, ora. Sapeva anche cosa sarebbe successo. Le anziane si accucciarono a terra, il ritmo del tamburo si intensificò. Le mani di 'Cilia cercarono quelle di Paul, tirandoselo dietro in una girandola spericolata. Non sapevano ballare. Per nulla. I ritmi accelerarono. Quello del cuore, dei cuori, quello della musica, quello del vento, quello dei pensieri. Quello del profumo dei capelli di lei infilato fra le narici di lui. Quello dei piedi a sfilare sull'erba, quella dello sfondo sfuocato, tirato brusacamente come le linee di un pittore impaziente. Quello del 'Verse. Poi il silenzio, improvviso. Alla fine del vortice, solo il silenzio. Le mani incassarono uno strappo brusco. Crollarono a terra. Non solo loro due, ma tutti. Tutte le tuniche bianche. Le vecchie liberarono i chiodi. Liberarono centotredici aquiloni nel cielo estivo di Ghandi. I volti, tutti i volti alzati verso il cielo. Le ombre di centotredici aquiloni a sfiorarli.
-Come loro. -Ripetè Paul
-In alto come loro.
-Highasakite. -Sbuffò Paul, affondando il viso di lato, fra i capelli di Cecilia Ritter. Solo dopo qualche istante si accorse del fatto che non era l'erba, quella. Si ritirò con discrezione, appuntando di nuovo gli occhi al cielo in mille colori. Il più grande quadro del 'Verse si stava agitando sopra di loro. E sarebbe sparito nel giro di pochi secondi.
-Highasakite.
Quinn Thomson e Holden Carter erano piantati fermi, in piedi davanti al centro di sperimentazione aerospaziale di Ghandi.
-Cosa, vuole fare il pilota anche lui, adesso?
-Non sono qui.
Assicurò Quinn, mentre si avviavano verso la reception.
-Scommettiamo?
Ghignò Holden, superando le porte ruotanti. Fecero quel gioco scemo che facevano sempre. Si inseguirono per tre giri e mezzo prima di entrare. Prima di avvinarsi alla risposta, ed incassare la risposta limpidissima.
-Okay.
Ammise lui, fissando la moglie.
-Cosa ho perso?
Quinn sorrise silenziosamente, prendendogli la mano con la propria piccola sottile. Se lo trascinò dietro, sempre brandendo il paneeburro nell'altra.
-Parliamo di cosa ho vinto io, piuttosto.
Era calata la sera. Il sole era scivolato via dal cielo di Elèria tanto rapidamente quanto l'aveva invaso la mattina, poco dopo che si dileguassero dalla stanza di Paul. Il gruppo di fedeli s'era inspessito a poco a poco, e, senza accorgersene, si erano trovati in mezzo ad una folla in tunica bianca. I canti iniziarono solo con il calar del sole. Un uomo giovane, con piume nei capelli ed un trucco selvaggio sul volto, alzò nell'aria una voce dolcissima. Una donna vestita di rosso lo accompagnava al tamburo, mentre altre donne e uomini in mezzo alla folla iniziarono a tessere le loro voci insieme fino a fonderle in un unico e perfetto arazzo. Solo quando il buio staccò l'ultimo morso all'iris una delle anziane si chinò, raccogliendo la lanterna di carta ai suoi piedi. La alzò sopra di sè, in modo da mostrarla a tutti.
-Dimentichiamo per ricordare. E' nel tutto che troviamo il singolo, e solo nell'universo infinito troviamo noi stessi. Le nostre anime tornano a fondersi.
I fedeli imitarono l'anziana, raccogliendo le centinaia di lanterne appoggiate a terra. Le mani libere, come quelle di Paul Carter e Cecilia Ritter, cozzavano seguendo il ritmo del tamburo. C'era un'euforia pacifica nell'aria. Poi fu questione di istanti. Di battiti cardiaci, di mezzi respiri. Le lanterne si accesero. Tutte. Le dita mollarono la presa, e nel cielo quieto del giardino di Zeduah si sollevò una nuvola di luci volanti di carta. Galleggiavano nell'aria come centinaia di lucciole obese, come pensieri fatti e non finiti. Come parti di tutti in cerca di un rifugio migliore. Come le forze del cuore in cerca del sole. Non ci furono più parole. Paul prese Cecilia, e se la piazzò sulle spalle. In un tentativo di permetterle di aggrapparsi ad una luce e sparire in cielo. Nel volo più perfetto che la vita le avrebbe mai permesso. Era la sua parte migliore, lei. Quella destinata al sole. Quella da cui ci si separa solo con la consapevolezza che in realtà è tutto. Tutto.
Meno un'ora alla fatidica chiamata cortex di Eleazar Ritter. Holden Carter portava la disperazione in volto, e Quinn Thomson fra le braccia. Raggiunse il viale familiare, quello di casa. Non sapeva più che fare. Il cielo a Nord iniziava a macchiarsi delle leccate violacee dell'alba. Il sole stava per baciare i palazzi più alti di Ghandi, quelli che si attorcigliavano come piante esotiche fatte di vetro. Era stanco, l'intero corpo pesante, i passi trascinati. Inciampò quasi, poco distante dalla porta. Ciondolò, recuperò l'equlibrio, ed alzò lo sguardo. Dalla parte opposta dello stesso viale, era in arrivo una figura fin troppo conosciuta. Una figura sola, composta da due pezzi perfettamente compatibili. Cecilia Ritter dormiva, crollata sulle spalle e sulla schiena di Paul Carter, che la sosteneva fieramente. Aveva l'aria di un cavaliere tornato dalla battaglia. Vittorioso. I due Carter si fermarono, ognuno a tre metri esatti dalla porta, con tre metri esatti fra di loro. E sorrisero. In silenzio.
Il giorno dopo, Quinn Thomson prese la saldatrice, quattro sbarre metalliche, e piombò le finestre della stanza di suo figlio.
onsdag 20. juni 2012
Chicken brain
Cecilia Ritter aveva le dita serrate intorno alla cloche. Sotto i polpastrelli, abbastanza potenziale distruttivo da mandare parecchie puttane a volare in cielo. Abbastanza da rendere il tutto interessante. Tirò un bel respiro, mentre il cielo di Greenfield la aspettava silenzioso, con l'aria da Todd, una porta placida e poco difficile aperta su tutte le possibilità del 'Verse. La mano scivolò attorno alla leva di attivazione SSV e...
- No, no, no.
Una donna bionda sulla quarantina, magra, con un viso dalle linee feroci e dure, scosse la testa in modo brusco e le si avvicinò. Il suo nome era Eivor Edwards, ed era un'eroe di guerra. L'unica cosa che gli anni avevano aggiunto al suo volto erano ulteriori strati di fierezza, grammi di serietà.
-Attivi l'alimentazione centrale, prima. Motherofgod, hai del cemento nelle orecchie?
Nel tono di voce, nemmeno un'ombra di complicità o simpatia. Solo la durezza di chi vuole preparare qualcuno al meglio. Ed al peggio. 'Cilia storse il naso. Decise che era ora di fare una pausa. Di nuovo.
-Perchè la chiami Cuor di Panna?
-Perchè è stupida.
-E perchè ti chiama Culo di Chiodi?
-Perchè son stronza.
-Ah.
Il ragionamento non faceva una piega. Prese un bel respiro.
-Sai, ci sto pensando, alla storia delle colonie...
-Mh. In realtà sarebbe prestino per te, ma... Ci serve gente fresca, capace. Ho parlato con l'ammiragio Bradway.
La fissò, come se stesse per rivelarle un mondo nuovo.
-Ti prende, lo sai? Ti prende.
Non sorrise. Non mostrò la finestrella. Non lo faceva mai. Ma una luce strana le balenò negli occhi. Continuò a guardarla, nell'attesa che balzasse sù, o quantomeno si mettesse ad ululare di gioia con gli occhi fuori dalle orbite. Cecilia la guardò a sua volta. Nessuna gratitudine-policy. Eivor Edwards ricevette un sorriso incerto.
-Ci ho pensato tantissimo.
-Mh.
-Lo voglio tantissimo.
-Eh.
-E' che...
-Che?
-C'è questo ragazzo...
-Prego?
-Questo ragazzo, P...
Si bloccò. Culo di Chiodi alzò gli occhi al soffitto metallico della plancia dell'Hyperion II. Non ci poteva credere. La cretinaggine sentimentale, la propensione a sventrare il 'Verse ed i propri sogni per amore era davvero ereditaria. Per quanto la riguardava, Eivor aveva mandato all'inferno più cuori di chiunque altra donna del 'Verse. Poi aveva trovato un medico di Corona, che continuava a mandare all'inferno con gioia e passione, guardandosi bene dal dirlo al mondo. Esitò, quindi le rivolse un sorriso infido, complice.
-Ei, 'Ci. Ti sei appen guadagnata un soprannome.
Cecilia Ritter la fissò con aria speranzosa.
-Si?
No, Cecilia Ritter non conosceva Culo di Chiodi bene quanto sua madre.
-Si. Cervello di gallina.
- No, no, no.
Una donna bionda sulla quarantina, magra, con un viso dalle linee feroci e dure, scosse la testa in modo brusco e le si avvicinò. Il suo nome era Eivor Edwards, ed era un'eroe di guerra. L'unica cosa che gli anni avevano aggiunto al suo volto erano ulteriori strati di fierezza, grammi di serietà.
-Attivi l'alimentazione centrale, prima. Motherofgod, hai del cemento nelle orecchie?
Nel tono di voce, nemmeno un'ombra di complicità o simpatia. Solo la durezza di chi vuole preparare qualcuno al meglio. Ed al peggio. 'Cilia storse il naso. Decise che era ora di fare una pausa. Di nuovo.
-Perchè la chiami Cuor di Panna?
-Perchè è stupida.
-E perchè ti chiama Culo di Chiodi?
-Perchè son stronza.
-Ah.
Il ragionamento non faceva una piega. Prese un bel respiro.
-Sai, ci sto pensando, alla storia delle colonie...
-Mh. In realtà sarebbe prestino per te, ma... Ci serve gente fresca, capace. Ho parlato con l'ammiragio Bradway.
La fissò, come se stesse per rivelarle un mondo nuovo.
-Ti prende, lo sai? Ti prende.
Non sorrise. Non mostrò la finestrella. Non lo faceva mai. Ma una luce strana le balenò negli occhi. Continuò a guardarla, nell'attesa che balzasse sù, o quantomeno si mettesse ad ululare di gioia con gli occhi fuori dalle orbite. Cecilia la guardò a sua volta. Nessuna gratitudine-policy. Eivor Edwards ricevette un sorriso incerto.
-Ci ho pensato tantissimo.
-Mh.
-Lo voglio tantissimo.
-Eh.
-E' che...
-Che?
-C'è questo ragazzo...
-Prego?
-Questo ragazzo, P...
Si bloccò. Culo di Chiodi alzò gli occhi al soffitto metallico della plancia dell'Hyperion II. Non ci poteva credere. La cretinaggine sentimentale, la propensione a sventrare il 'Verse ed i propri sogni per amore era davvero ereditaria. Per quanto la riguardava, Eivor aveva mandato all'inferno più cuori di chiunque altra donna del 'Verse. Poi aveva trovato un medico di Corona, che continuava a mandare all'inferno con gioia e passione, guardandosi bene dal dirlo al mondo. Esitò, quindi le rivolse un sorriso infido, complice.
-Ei, 'Ci. Ti sei appen guadagnata un soprannome.
Cecilia Ritter la fissò con aria speranzosa.
-Si?
No, Cecilia Ritter non conosceva Culo di Chiodi bene quanto sua madre.
-Si. Cervello di gallina.
lørdag 16. juni 2012
Futuro,più tardi, grazie
Cecilia Ritter risaliva il graticcio senza nessuna difficoltà e con la disinvoltura conferita dall'abitudine.
Era pomeriggio inoltrato, le finestre erano tutte aperte.
Batté le nocche contro la cornice, prima di infilarsi dentro.
Paul era sdraiato sul letto con aria bellicosa e depressa. Teneva un intero vassoio ricolmo di panini sull'addome e sparava con la pistola-controller a vari tipi di vascello proiettati sulle pareti e sul soffitto della stanza.
Era un videogioco classico, mai passato di moda.
Cecilia posò i piedi a terra e aggrottò la fronte. Quei muri avevano visto tante volte quella sequenza, ripetuta da un paio di generazioni almeno.
-'ao.- la salutò Paul. Aveva la strabiliante capacità di infilarsi interi panini in bocca anche da steso. Cecilia pensò che non li masticasse neanche. Aveva una mira perfetta e non sbagliava nessuno dei colpi elargiti con irritazione indolente.
Non si vedevano da mesi.
- Beh? Non ti hanno fatto mangiare, a Ghandi?-
Per tutta risposta Paul aggredì un altro panino.
- Sei sempre il solito cafone.- constatò lei interessata, acciambellandosi ai piedi del letto, sul pavimento.
Paul fece penzolare una mano enorme per passarle un panino.
Cecilia diede appena un morso, lo restituì. Anche quello scomparve per intero tra le fauci del giovane.
- Non 'i 'anno prefo-
Non c'era bisogno di traduzione. Il selvaggio trionfo che le si agitò nello stomaco le fece provare un po' di vergogna e senso di colpa. Era una cosa a cui Paul teneva, doveva essere dispiaciuta per lui.
-Com'è? Troppo giovane?-
Lo sapevano. Non aveva grosse possibilità prima di un anno, forse due, ma quando le aveva detto di voler comunque tentare prima l'ingresso in accademia l'aveva lasciata in un profondo stato di prostrazione. Significava che avrebbe trascorso tutta l'estate a Gandhi.
Paul si strinse nelle spalle, ingollò due panini uno dietro l'altro.
- Ti prenderanno l'anno prossimo.- decretò Cecilia con aria molto più rilassata. Prese il secondo controller allungandosi fino alla scrivania. Si accorse che il suo cortex era spento.
- Almeno, la fidanzatina di Gandhi sarà contenta se non corri rischi- ghignò con un certo senso di rivalsa. Quella sciacquetta odiosa.
Paul grugnì in un modo che confermò ogni suo sospetto. D'altro canto, da che stava con quest'ultima vergine afflitta, era obbligato a usare il cortex come un prolungamento del suo braccio per i non facoltativi puccipucci di rito. Se era spento e lontano, avevano come minimo litigato.
Cecilia stavolta non provò il minimo senso di colpa quando sentì il trionfo allargarsi e colarle in petto.
Prese a sparare agli hologrammi di navi spaziali con un certo entusiasmo. Era così ringalluzzita che non ne beccava molti.
Paul sbuffò, mise da parte il vassoio e la sollevo sul letto con un solo braccio.
- Scimmione.- lo apostrofò lei.
Lui le indicò le navi nemiche con aria solennemente seria e un panino tra le labbra.
-Di positivo c'è che abbiamo tutta l'estate.- rifletté tra il quarantacinquesimo e il sessantaduesimo panino. Sembrava essersi un po' ripreso.
-Oh, te ne sei accorto, ti ringrazio. Pensavo volessi restare qui a mangiare depresso finché non passavi più dalla porta-
Paul rise e la spinse con una manata delicata. Cecilia finì lunga distesa sul letto.
- Alzati, svergognata. Se entra mia madre pensa che vuoi farmi toccare le tette.-
-...-
- "sei un bamboccio in un corpo enorme, Paul Carter"- suggerì lui con vocina stridula.
Cecilia rise. L'estate era davvero cominciata.
- Resti a cena?-
-Perché...hai anche intenzione di cenare?-
Paul le infilò un panino in bocca senza perdere troppo tempo.
- Papàààààà- chiamò- Abbiamo ospiti per cena, puoi evitare che la mamma cucini?-
Holden rispose le sue speranze dal piano di sotto e promise che avrebbe fatto il possibile.
Restarono a sparare ai muri e a progettare l'estate fino a ora di cena.
Poi passarono alla fase operativa e uscirono nella notte meravigliosa di Greenfield pronti ad appropriarsi di ogni giorno insieme,fino all'ultimo.
Era pomeriggio inoltrato, le finestre erano tutte aperte.
Batté le nocche contro la cornice, prima di infilarsi dentro.
Paul era sdraiato sul letto con aria bellicosa e depressa. Teneva un intero vassoio ricolmo di panini sull'addome e sparava con la pistola-controller a vari tipi di vascello proiettati sulle pareti e sul soffitto della stanza.
Era un videogioco classico, mai passato di moda.
Cecilia posò i piedi a terra e aggrottò la fronte. Quei muri avevano visto tante volte quella sequenza, ripetuta da un paio di generazioni almeno.
-'ao.- la salutò Paul. Aveva la strabiliante capacità di infilarsi interi panini in bocca anche da steso. Cecilia pensò che non li masticasse neanche. Aveva una mira perfetta e non sbagliava nessuno dei colpi elargiti con irritazione indolente.
Non si vedevano da mesi.
- Beh? Non ti hanno fatto mangiare, a Ghandi?-
Per tutta risposta Paul aggredì un altro panino.
- Sei sempre il solito cafone.- constatò lei interessata, acciambellandosi ai piedi del letto, sul pavimento.
Paul fece penzolare una mano enorme per passarle un panino.
Cecilia diede appena un morso, lo restituì. Anche quello scomparve per intero tra le fauci del giovane.
- Non 'i 'anno prefo-
Non c'era bisogno di traduzione. Il selvaggio trionfo che le si agitò nello stomaco le fece provare un po' di vergogna e senso di colpa. Era una cosa a cui Paul teneva, doveva essere dispiaciuta per lui.
-Com'è? Troppo giovane?-
Lo sapevano. Non aveva grosse possibilità prima di un anno, forse due, ma quando le aveva detto di voler comunque tentare prima l'ingresso in accademia l'aveva lasciata in un profondo stato di prostrazione. Significava che avrebbe trascorso tutta l'estate a Gandhi.
Paul si strinse nelle spalle, ingollò due panini uno dietro l'altro.
- Ti prenderanno l'anno prossimo.- decretò Cecilia con aria molto più rilassata. Prese il secondo controller allungandosi fino alla scrivania. Si accorse che il suo cortex era spento.
- Almeno, la fidanzatina di Gandhi sarà contenta se non corri rischi- ghignò con un certo senso di rivalsa. Quella sciacquetta odiosa.
Paul grugnì in un modo che confermò ogni suo sospetto. D'altro canto, da che stava con quest'ultima vergine afflitta, era obbligato a usare il cortex come un prolungamento del suo braccio per i non facoltativi puccipucci di rito. Se era spento e lontano, avevano come minimo litigato.
Cecilia stavolta non provò il minimo senso di colpa quando sentì il trionfo allargarsi e colarle in petto.
Prese a sparare agli hologrammi di navi spaziali con un certo entusiasmo. Era così ringalluzzita che non ne beccava molti.
Paul sbuffò, mise da parte il vassoio e la sollevo sul letto con un solo braccio.
- Scimmione.- lo apostrofò lei.
Lui le indicò le navi nemiche con aria solennemente seria e un panino tra le labbra.
-Di positivo c'è che abbiamo tutta l'estate.- rifletté tra il quarantacinquesimo e il sessantaduesimo panino. Sembrava essersi un po' ripreso.
-Oh, te ne sei accorto, ti ringrazio. Pensavo volessi restare qui a mangiare depresso finché non passavi più dalla porta-
Paul rise e la spinse con una manata delicata. Cecilia finì lunga distesa sul letto.
- Alzati, svergognata. Se entra mia madre pensa che vuoi farmi toccare le tette.-
-...-
- "sei un bamboccio in un corpo enorme, Paul Carter"- suggerì lui con vocina stridula.
Cecilia rise. L'estate era davvero cominciata.
- Resti a cena?-
-Perché...hai anche intenzione di cenare?-
Paul le infilò un panino in bocca senza perdere troppo tempo.
- Papàààààà- chiamò- Abbiamo ospiti per cena, puoi evitare che la mamma cucini?-
Holden rispose le sue speranze dal piano di sotto e promise che avrebbe fatto il possibile.
Restarono a sparare ai muri e a progettare l'estate fino a ora di cena.
Poi passarono alla fase operativa e uscirono nella notte meravigliosa di Greenfield pronti ad appropriarsi di ogni giorno insieme,fino all'ultimo.
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torsdag 14. juni 2012
Parental Control vol.2
Eleazar aspettava, appoggiato alla parete; fumava la quinta sigaretta dal risveglio.
Erano le due di pomeriggio, in fin dei conti. La media poteva risultare dignitosa, escludendo il fatto che s'era alzato a mezzogiorno e mezzo.
Una canottiera bianca, un paio di jeans ed una faccia asciutta a cui gli anni non avevano tolto un grammo di assente e pigra spavalderia.
- Cucini tu?
La voce bofonchiante di Cecilia, appollaiata su una sedia, lo raggiunse mentre lui la fissava placidamente. Sua figlia indossava una vecchia camicia rossa, troppo grande; le ginocchia ossute spuntavano oltre il bordo del tavolo. La pelle pareva sbucciata di fresco, da un lato. La ragazza inzuppò un paio di epocali occhiaie in un'enorme tazza di caffè, smollicando il pane con le dita, sino a renderlo la cosa più lontana possibile da una fetta.
Eleazar ne soppesava il profilo; era piacevole, ogni volta, misurare quanto i propri occhi, in mezzo al broncio di Sterling, rendessero giustizia alla parola: 'incazzato'. Poteva compiacersene.
Ridacchio, prima di rispondere.
- Sì. Non svenire per l'entusiasmo, sono fuori servizio.
- Mh...
- Preferivi tua madre?
- Preferivo la morte per fame.
Eleazar continuò a ridere, scosse la testa, arricciando le labbra attorno al filtro. Si staccò dalla parete, per andarsi a versare un bicchiere di whisky. Le buone abitudini non muoiono mai.
- Continua così sarai esaudita presto, tesoro. Quel pane sta urlando pietà da tre quarti d'ora.
Cecilia non era mai stata una ragazza d'appetito. Anzi, di solito digiunava. Magari anche a causa della scarsa abilità culinaria dei genitori.
- Mh... mi dai una sigaretta?
- Finisci la colazione
- Questa non è una colazione, è un omicidio
- Finisci il tuo omicidio, allora
- ... Papà...
La ragazza sollevò lo sguardo verde, affilato ed orgoglioso su Eleazar. I tratti gentili del volto si aggrovigliarono in una sorta di tenerissimo cruccio minaccioso, velato d'una supplica incosciente di se stessa. Un ricciolo scuro fendeva la fronte a metà, lambendole il naso.
Ritter sospirò, strofinandosi la faccia, oramai addestrato con grazia ai propri cedimenti rovinosi.
Perdeva battaglie con le donne Sterling dal lontano 2514. Rese incondizionate.
Infilò la mano in tasca e le lanciò di fronte il pacchetto spiegazzato. Si sedette, allungandole anche l'accendino. Cecilia stava già scartando la preziosa nicotina, nemmeno fosse ambrosia.
- Non dirlo a lei, ogni occasione è buona per...
In quel momento la porta si spalancò di scatto, accompagnata da una sonora ed inequivocabile imprecazione.
- PUTTANEDAGUERRA
Eir si trascinò dietro tutta la propria ira funesta, varcando la soglia e sbattendo l'uscio nel muso alla meravigliosa estate di Greenfield. La canotta impolverata, i pantaloni consumati e la massa imbarazzante di capelli indomabili, la rendevano pressoché simile ad una ragazzina offesa, incazzata. Salvo qualche timido segno in più attorno agli occhi e alle labbra, i cinquant'anni sembravano esitare ad avvicinarsi al suo corpo (come biasimarli, si trattava di esperienze pericolose).
- ... se prova un altra volta a fregarmi, giuro, giuro che prendo quella fottuta stramaledetta dinamo e gliela faccio digerire a furia di calci nel culo - Scaraventò il cappello sulla poltrona e, finalmente, si voltò verso sinistra.
Cecilia ed Eleazar la fissavano, leggermente tesi, leggermente perplessi. Leggermente. Mostravano la faccia pacata di chi guarda il medesimo holofilm per la centoquarantesima volta. Le sigarette sospese a mezz'aria come timide bandierine bianche. La ragazza tirò su col naso, sbattendo le palpebre, mentre Eleazar allungò un sorriso sornione alla volta della moglie, il bicchiere a ciondolare fra le dita.
Eir li scrutò, entrambi, immobili in quel modo assurdo. Le passarono per la testa centinaia di parole che avrebbe voluto tanto dire, ma non avrebbe detto per conclamata stanchezza. A differenza del suo amato consorte, lei non poteva addormentarsi alle cinque e svegliarsi gloriosamente a mezzogiorno. Optava sovente per l'abiura al sonno.
Registrò la cicca tra le mani di Cecilia, avanzando con passo implacabile verso la tavola. Eleazar si strinse nelle spalle, contando i passi col cervello. Sembrava un animale pronto alla punizione superiore, allertato al peggio.
S'aspettava una lavata di testa gratuita, o un ceffone magistrale; la sua donna non necessitava di ragioni specifiche. Bastava un'esistenza protratta da indomito scioperato: se Neville non raccattava un lavoro su cui rischiare la pelle, trascorreva un sacco di tempo a baloccarsi nel vuoto; per fortuna non accadeva spesso.
Eir non operò violenze. Si limitò a strappargli l'alcol di mano; lo rovesciò in gola, svuotò, sbatacchiò il vetro sul piano e puntò le dita ruvide su un fianco, sibilandogli qualcosa di incomprensibile, a denti scoperti. Poi sparì nell'altra stanza.
Ritter occhieggiò la dipartita della moglie. Poi il bicchiere miseramente deserto. Espirò, senza deporre la smorfia strafottente ed impigrita.
- tua madre mi dice di chiederti cosa hai fatto ieri sera...
Cecilia stava ancora contemplando la porta da cui era sparita Sterling.
- eh?
- tua madre mi dice di chiederti cosa hai...
- sì, non sono scema papà. in che senso lo chiede la mamma, mh?
Eleazar spense il proprio mozzicone. Sporse un braccio, le tolse la sigaretta di bocca e se la infilò tra le labbra. La figlia non tentò rappresaglie; evidentemente il discorso la toccava.
- nel senso che tua madre...
- ti dice di chiedermi cosa ho fatto ieri sera?
- eh...
- a te non interessa?
- sì, ma sono possibilista e estremamente... comprensivo
- 'kay
-...
Eir sgusciò dentro la cucina, di nuovo, strofinando il volto umido e caricando la replica.
- TUO PADRE NON HA UN CAZZO DI VOGLIA DI FARE IL PADRE. In fin dei conti, non ha mai voglia di fare niente.
Eleazar si lasciò quietamente (e giustamente) brutalizzare, scivolando col bacino sulla sedia.
Cecilia annegò le labbra nel caffè.
Sterling fu lasciata sola dai Ritter in un silenzio post-traumatico.
Non impiegò molto a perdere la pazienza.
-CHE C'È, maledizione?
Registrando una certa maretta Eleazar si strofinò la testa, e riprese l'interrogatorio.
- Cecilia, cristo santo, cosa hai fatto ieri notte fino alle cinque?
- Mah, niente, solite cose
La ragazza percorreva con le pupille il bordo della tazza.
Suo padre allargò la braccia, soddisfatto.
- Hai sentito, sterling? SOLITE COSE. A posto.
Eir sospirò, pronta a cambiare argomento. Non era una madre ossessiva, o paranoica, ma viveva i quotidiani timori che comporta amministrare un'adolescente, figlia d'un meccanico con trascorsi terroristici e d'un medico impegnato nel contrabbando. Insomma, un esercito di minacce e nemici probabili. Non s'era tatuata 'Hell is other people' addosso tanto per svago.
Suo marito, d'altro canto, ricominciò a fumare digitando qualcosa sul tech reader appena acceso.
Cecilia li racchiuse in un'unica carrellata d'occhi. Poggiò il caffè, mordicchiò le unghie della destra stemperando un ghigno trionfante, celato. Sapeva cosa fare. Adorava provocare le persone.
- Tra l'altro...ho tipo conosciuto un ragazzo, siamo stati insieme a...
- Hai fatto tipo COSA CON CHI?
Eleazar smise di fare quello che stava facendo. Ivi compreso fumare. Si raddrizzò sulla sedia, schiuse le labbra e trascese (ovviamente) la frase della figlia fino al dramma assoluto.
Cecilia sorrise, spavalda e sibillina, alzandosi in piedi di scatto sulle lunghe gambe nude; pronta ad andarsene dopo aver scombussolato un po' le carte, senza spiegazioni. Che attrice.
Eir scoppiò a ridere, con una certa affettuosa malvagità. Infilò le dita tra i capelli del suo uomo, in una sorta di carezza punitiva, insistente.
- Tuo padre è POSSIBILISTA ed ESTREMAMENTE COMPRENSIVO col culo degli altri, Cecilia...
- Ma non era lesbica? Cristo, davvero, non era lesbica?
Eleazar incrociò le braccia dietro la testa, sul cuscino, tirando un pesante respiro. Eir, il mento appoggiato sul petto del marito, si ciondolava in un ghigno poco discreto, inarcando la schiena nuda per guardarlo negli occhi.
- Ha solo detto che ha conosciuto un ragazzo, tutto qua. Non significa niente.
- Significa, significa, se ha sentito il bisogno di dircelo...
- Va bene, anche fosse?
Lui si sollevò sui gomiti, portandosela dietro. La fissò.
- Come 'anche fosse'? Sei impazzita?
Eir si sedette, a cavalcioni del suo bacino.
- Non oso nemmeno immaginare quanta gente ti sei scopato tu, tra i sedici ed i diciassette anni.
- È diverso.
- Ovvero?
- Sono un uomo.
Eleazar sorrise, di quel sorriso sfrontato e soddisfatto che aspirava al suicidio.
La reazione di Sterling non si fece attendere. Lo schiaffo (seppure meno violento del solito) si scaricò sulla guancia del marito con urgente prontezza.
- Vai a fare il maschilista del cazzo con la figlia di qualcun altro, Eleazar Ritter.
Vegliare e raccogliere
- Fallo di nuovo e te lo giuro, sei morto.-
Paul Carter era un ragazzo garbato e piuttosto discreto. Crescendo, col passare degli anni, era diventato anche più riflessivo e riservato.
Fu con placida calma che infilò quelle parole nel cervello del tipo che teneva sospeso per il collo contro il muro del saloon.
Pareva non gli costasse la minima fatica.
- Dimmi solo che hai capito, figliodiputtana. Fai un cenno.-
Prima che arrivasse il cenno arrivò un colpo dritto tra le scapole di Paul.
Incassò. Non era forte. Ma conosceva quella mano e si rese conto. Lasciò andare il tipo, che crollò a terra con poca dignità e ancor meno lucidità.
- Fatti. gli.affari. tuoi.-
Cecilia Ritter-Sterling era furiosa. E non ancora sbronza.
Paul sospirò.
-'cilia, avrebbe potuto farti del male.-
- Non.sono. affari tuoi.- respirava dalle narici dilatate.-Decido io come vivere la mia relazione.-
- E' anche affare mio se lui-
-La tua fidanzatina core di Gandhi, è affare tuo.-
Paul Carter sollevò le mani, capitolando.
- Scusa.-
-Va' all'inferno, Carter.-
Lui annuì senza una parola.Ci andò.
Gli altri tre componenti della famiglia Carter alzarono lo sguardo in un movimento sincrono quando Paul rientrò a casa. Nel bel mezzo della mattina, due ore dopo essere uscito.
-Oh- fu tutto il suo saluto. Uscì dalla porta sul retro, diretto in officina.
-....comunicativo come uno scimmione.- rilevò Sallie. Holden le tappò la bocca con una mano e la riportò sulla partitura.
- Questa mi piace, ma questa soluzione non è molto elegante. Fammi sentire di nuovo.- la richiamò al suo compito. Con l'altra mano indicava a sua moglie la porta sul retro.
L'officina era in penombra. Faceva meno caldo, così.
Quinn Thomson trovò suo figlio ad avvitare minuterie al banco, sotto un sistema di ingrandimento.
- E' frustrante.- le disse.
Sua madre avvicinò uno sgabello, assumendosi il ruolo di assistente subalterno.
-Cecilia?-
-Mh. Sta con uno scimmione alcolizzato e violento e-
-Paul-
-Eh-
-Non puoi proteggerla da tutto.-
Paul annuì. Lo imparava a sue spese da una vita. Ma era frustrante.
-....perché no.-
- Perché è la sua vita e deve imparare con l'esperienza.- Quinn Thomson era molto brava con le parole. Con i fatti un po' meno e se avesse potuto nascondere quel ragazzone sotto la sua ala di chioccia l'avrebbe fatto. Non lo avrebbe più restituito al mondo. -...come devi farlo tu.-
-Che culo.-
Quinn rise. Gli passò un cacciavite più idoneo.
- Sanno cavarsela da sole. Da generazioni.- lo tranquillizzò.
Anche Paul sorrise.
- Era così anche con sua madre?- domandò.
Quinn dondolò il capo.
-Più o meno.-
-E' frustrante lo stesso. Non so che fare.-
- Non puoi fare niente. Solo...vegliare da lontano. Ed essere pronto a raccogliere i pezzi quando si romperà.-
Paul posò il cacciavite. La guardò
- Era quello che facevi tu?-
Sua madre sorrise ai suoi capelli biondi tagliati corti, al viso asciutto, agli occhi chiari, alla barba appena accennata, ai baffetti sottili che si ostinava a portare.
- Lei lo ha fatto milioni di volte per me.-
Lui annuì. Cecilia lo aveva fatto milioni di volte per lui.
-Passami tre viti serie Z. - le mostrò una mano, sollevato.
Cecilia Ritter-Sterling aveva ammassato tutti i suoi spigoli nell'angolo più remoto della tenda.
Era dolorosamente lucida e singhiozzava non sapeva più da quanto.
Avrebbe voluto, avrebbe voluto e non avrebbe voluto.
-'cili?-
Quell'idiota lo sapeva che era lì dentro, immaginava si sentisse fino al ponte. Perché accidenti la chiamava?
-Vattene-
Silenzio.
Cerniera.
Paul Carter strisciò dentro sui gomiti con un' espressione comica che ricordava molto quella del suo bovaro di fronte al banco dei salumi. Le fece musetto, batteva le palpebre con fare ruffiano.
Sdraiato sulla pancia, dal ginocchio in giù restava comunque fuori dalla tenda.
Suo malgrado Cecilia rise.
-Idiota - lo apostrofò.
Sentì la sua risata bassa e gutturale mentre la trascinava fuori quasi di peso.
Con pazienza lui si appoggiò alla quercia e lasciò che lei si adagiasse tra le sue braccia. Le strofinava le spalle,le teneva i fianchi fermi con le ginocchia. Le avrebbe impedito di scappare.
-Allora- disse pacato.- Che è successo.-
Cecilia Ritter singhiozzò più forte.
Poi gli raccontò tutto, lo travolse col suo fiume in piena e non dimenticò un particolare.
Alla fine era distrutta, sfinita e sollevata.
Era a casa.
Era l'estate di due anni prima. Era tutto semplice, tutto bello.
Singhiozzò.
-Ebbasta!-
Rise. Sentì anche lui scuotersi piano.
- Te lo ricordi che cosa ci siamo promessi?- disse all'improvviso, svuotando la pira d'ansia in fondo allo stomaco.
- Che alla fine di tutto mi avresti fatto toccare le tette?- lo sentiva ghignare al buio.
Gli colpì una mano, sebbene lui non l'avesse mossa dal suo braccio.
- Sei un bamboccio...-
-...in un corpo enorme. Sì.-
Era una scena che si ripeteva ogni anno.
-Cosa, 'cilia?-
- ...non saremmo mai finiti a fare sesso dopo aver bevuto.-
- Ah. Sì. Vero. - Paul era pensieroso.- ...e neanche da sobri, tipo?- Visto che lo erano entrambi...
Cecilia lo colpì di nuovo e non poté fare a meno di ridere.
-Oh, miseria.- protestò lui. Ma rideva con lei.- Neanche ti sto toccando! - la stringeva coi gomiti, le sventolò le mani davanti al volto, a mo' di farfalla. O di pterodattilo, date le dimensioni.
Rimase in silenzio. Pensava. Pensava. Pensava.
Lui la cullava piano. Senza fretta. Senza...
Lo sapeva. Lo sapevano entrambi.
-Carter.-
-Eh.-
-Finirà così, sputtaneremo tutto, mh?-
Paul Carter rimase in silenzio a lungo.
-Ogni cosa.- promise affondando il naso tra i suoi capelli.
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onsdag 13. juni 2012
Forget to remember
Era settembre. L'estata era passata come un lampo. A 'cilia Ritter sembrava di averla appena sfiorata con le punta delle dita, e poi basta, qualche artista dispettoso aveva gettata una secchiata di rosso sulle quercie intorno ad Oak Town, ed il grande caldo era scivolato via. Paul Carter era partito da due giorni, e quei due giorni erano sembrati un'eternità.
-Berrò per dimenticare.
L'aveva avvertito, prima che scomparisse nella jeep verso lo spazioporto, con quella piega drammatica che potrebbe solo scivolare negli occhi di una ragazzina.
Paul aveva sorriso sotto quello che si continuava ad ostentare come baffo, ma che 'cilia aveva soprannominato "l'ala di pulcino".
-Non è quello che facciamo sempre?
Cecilia alzò le spalle.
-Suppongo.
-Mh.
-Allora ci si vede, eh?
-Eh.
Non si sfiorarono, si limitarono a scambiarsi uno sguardo livido. Paul nella jeep, la jeep nella polvere, la polvere oltre l'orizzonte. Poi il nulla. Cecilia se ne tornò a casa, alzò un dito medio alle domande di Jaden, aggrottò silenziosamente le sopracciglia allo sguardo perplesso di sua madre, saltò la partita a poker con suo padre senza presentare scuse. Si sfilò dalla casa appena non-finita la cena, e tornò alla tenda. Si sedette sul tappeto di erba ancora verde, ma dopo qualche istante dovette scostare il culetto puntuto (certamente ereditato per vie misteriose dalla zia pilota), perchè sotto le chiappe stava scomodamente infilata una bottiglia di vetro. Non era una bottiglia qualcunque. Lo capì dal peso, ancora prima di vederla. Pesava più di una bottiglia di whisky. Che avessero inventato un nuovo alcolico potente il doppio? Sorrise speranzosa, ma si ritrovò a fissare una bottiglia riempita di sassolini. La smorfia delusa, però, non fece nemmeno in tempo a sorgere. I sassolini dentro il vetro erano disposti in modo da formare una scritta. "Forget to remember". Bevi per dimenticare, ma dimentica per ricordare. Ciondolò con la testa, mentre un ghigno ebete e felice si faceva spazio fra le labbra. Rimase lì ad ubriacarsi di memorie cavate fra un buco nero e l'altro, mentre il sapore dell'estate le tornava tutto in bocca.
-Berrò per dimenticare.
L'aveva avvertito, prima che scomparisse nella jeep verso lo spazioporto, con quella piega drammatica che potrebbe solo scivolare negli occhi di una ragazzina.
Paul aveva sorriso sotto quello che si continuava ad ostentare come baffo, ma che 'cilia aveva soprannominato "l'ala di pulcino".
-Non è quello che facciamo sempre?
Cecilia alzò le spalle.
-Suppongo.
-Mh.
-Allora ci si vede, eh?
-Eh.
Non si sfiorarono, si limitarono a scambiarsi uno sguardo livido. Paul nella jeep, la jeep nella polvere, la polvere oltre l'orizzonte. Poi il nulla. Cecilia se ne tornò a casa, alzò un dito medio alle domande di Jaden, aggrottò silenziosamente le sopracciglia allo sguardo perplesso di sua madre, saltò la partita a poker con suo padre senza presentare scuse. Si sfilò dalla casa appena non-finita la cena, e tornò alla tenda. Si sedette sul tappeto di erba ancora verde, ma dopo qualche istante dovette scostare il culetto puntuto (certamente ereditato per vie misteriose dalla zia pilota), perchè sotto le chiappe stava scomodamente infilata una bottiglia di vetro. Non era una bottiglia qualcunque. Lo capì dal peso, ancora prima di vederla. Pesava più di una bottiglia di whisky. Che avessero inventato un nuovo alcolico potente il doppio? Sorrise speranzosa, ma si ritrovò a fissare una bottiglia riempita di sassolini. La smorfia delusa, però, non fece nemmeno in tempo a sorgere. I sassolini dentro il vetro erano disposti in modo da formare una scritta. "Forget to remember". Bevi per dimenticare, ma dimentica per ricordare. Ciondolò con la testa, mentre un ghigno ebete e felice si faceva spazio fra le labbra. Rimase lì ad ubriacarsi di memorie cavate fra un buco nero e l'altro, mentre il sapore dell'estate le tornava tutto in bocca.
tirsdag 12. juni 2012
'ttaneininsalata
Eir Sterling si voltò a fissare suo marito nel suo stato semicomatoso, la morfina in circolo da appena qualche minuto, l'hypospray ed il laccio emostatico ancora appoggiati lì di fianco.
-El...
-Mmhh. No, non i cavalli.
-El...
Si stava tirando dietro un doposbornia pazzesco e l'umore non era dei migliori. Si erano ridotti a fare i giorni alterni. Era stesa nel letto da cinque ore. Sveglia da cinque ore.
-El, sono le quattro.
-No, non un cavallo, nè quattro.
Scattò su, seduta.
-EL, PUTTANEDAGUERRA, DOV'È CECILIA?
-Cecilia?
Lo sguardo vacuo frugò il suo volto, pieno di un amore placido, che sembrava stagnare lì dall'inizio dei tempi.
-.....Tua figlia, si.
-Figlia... Avevo detto che non volevo figli.
Si voltò dall'altra. Eir Sterling rimase lì, seduta nel letto a fissare la parete vuota con la sua incazzatura. Piano piano, il broncio storico si trasformò in un sorriso. Lei, a quell'età, aveva già costruito una riserva segreta dentro la sala macchine di Monroe.
-El...
-Mmhh. No, non i cavalli.
-El...
Si stava tirando dietro un doposbornia pazzesco e l'umore non era dei migliori. Si erano ridotti a fare i giorni alterni. Era stesa nel letto da cinque ore. Sveglia da cinque ore.
-El, sono le quattro.
-No, non un cavallo, nè quattro.
Scattò su, seduta.
-EL, PUTTANEDAGUERRA, DOV'È CECILIA?
-Cecilia?
Lo sguardo vacuo frugò il suo volto, pieno di un amore placido, che sembrava stagnare lì dall'inizio dei tempi.
-.....Tua figlia, si.
-Figlia... Avevo detto che non volevo figli.
Si voltò dall'altra. Eir Sterling rimase lì, seduta nel letto a fissare la parete vuota con la sua incazzatura. Piano piano, il broncio storico si trasformò in un sorriso. Lei, a quell'età, aveva già costruito una riserva segreta dentro la sala macchine di Monroe.
Notturni e fughe
-'notte ma', 'notte 'pa'.-
Holden Carter e Quinn Thomson guardarono con sospetto il loro primogenito sulla porta della loro camera da letto.
Era bello, pettinato, pulito, profumato, sobrio, e soprattutto in orario.
- Sei tornato presto.-
- Mi avete dato voi l'orario, posso sempre uscire di nuovo e-
- A dormire.-
-'kay. 'Notte.-
Holden si alzò per chiudere la porta.
-Non dire niente. Non dire niente. E' tutto troppo bello per essere vero.-
- Buonanotte. - gli disse solo sua moglie.
Lui neanche rispose. Spense la luce, pronto a godersi un sonno tranquillo e che durasse più di cinque ore.
Gli parvero trascorsi solo cinque minuti quando la sentì mettersi a sedere.
- Quinn.-
- Quel figliodiputtana sta uscendo dalla finestra.-
Holden alzò gli occhi al cielo senza aprirli, tese l'orecchio.
Paul aveva sedici anni ed era alto due metri. Sentiva distintamente il graticcio scricchiolare sotto il suo peso. Probabilmente lo sentiva anche suo nonno a Capital City.
- Ma come può anche solo pensare che non ce ne accorgiamo, trizio!- sua moglie sembrava più piccata da questo aspetto della questione.- Io ero più abile.- scese dal letto.
- Stai andando a mostrarglielo?- Holden la trattenne. - Lascialo fare, Quinn.-
-Ci sta prendendo in giro!-
- Proprio così.- la strinse, per impedirle di protestare. O di corrergli dietro.
- Holden, noi-
-Persi, amore mio, abbiamo portato i nostri figli in una riserva protetta. Lasciali sfogare, così poi a Ghandi li possiamo chiudere dentro per tutto l'anno. Che cosa rischiano mai, qui?-
- E' andato a bere coi suoi amici,lo so.-
- ...tu invece alla sua età andavi a catturare lucciole sulla collina.-
Sentì che sua moglie restava imbronciata per principio. Morse il broncio.
- Rilassati, dormi serena, ne hai bisogno.-
- Come diavolo fai a stare così tranquillo.Se lui non torna come faccio a saperlo!-
- Ho messo una sveglia tra due ore. Se non è in camera sua vado a prenderlo con la violenza.-
-...è anche per questo che ti amo.-
- Lo so, Persi, lo so.-
Paul Carter si affacciò alla tenda baldanzoso e fiero, sventolando una bottiglia del migliore whiskey reperibile durante una fuga dalla finestra. Impossibile descrivere la sua delusione quando trovò la tenda vuota.
- Dove cavolo è andata.-
Per un attimo pensò che non ce l'avesse fatta.
- Sono qui, spilungone.-
Cecilia Ritter era seduta su un masso e provava a centrare bottiglie vuote a forza di sassolini.
- Hai avuto problemi?- gli chiese, aprendo la bottiglia.
-No, nessuno si è accorto di niente. -Paul pareva particolarmente fiero della cosa.
-Jaden dov'è? L'hanno beccato?-
-Mh, no. E' salito sulla collina con la tipa di Cap City. Pare gli faccia vedere le tette.-
-Sei un bamboccio in un corpo enorme, Paul Carter.-
Paul ghignò un plateale inchino.
-Meglio, uno in meno con cui dividere- Cecilia era brava a trovare il risvolto pratico.
Metà bottiglia dopo erano scivolati giù dalle rocce in pose di relax piuttosto scomposte.
-Mia madre mi fa un sacco di domande.-
-Seh, anche la mia.-
- Dove sei stato, con chi, figlio di chi...pretende di conoscerli tutti.-
-Seh, anche la mia.-
- Voleva sapere anche a tutti i costi chi fossi tu, se potessi avere una cattiva...influenza.-
Risero entrambi un brindisi.
- Tu che hai detto?-
-Che sei una tipa morigerata. Non bevi, dai una mano a Saint Quentin-
-'ttanedaguerra, un altro sorso di questo e stringo la mano a Saint Quentin in persona.-
Holden si voltò a guardarla con gli occhi arrossati. Rise a lungo.
Si accorse che aveva un buon odore. Capelli morbidi.
- Che cazzo fai, Carter?-
Si rese conto di avere una mano sospesa a mezz'aria, verso i suoi ricci disordinati.
-Provavo se tante volte anche tu mi lasciavi toccare le tette.-
- Non ti prendo a sberle solo perché non beccherei la traiettoria.-
-Per quello c'ho provato ora.-
- Anche tu come traiettoria...quelli erano i miei capelli.-
-Ah.
- Sei maledettamente ubriaco,Paul.-
- Perché tu invece rientri a casa dalla porta principale, mh?-
Continuarono a insultarsi fino al fondo della bottiglia e un po' oltre.
Fortunatamente la sveglia di Holden Carter non aveva suonato.
Holden Carter e Quinn Thomson guardarono con sospetto il loro primogenito sulla porta della loro camera da letto.
Era bello, pettinato, pulito, profumato, sobrio, e soprattutto in orario.
- Sei tornato presto.-
- Mi avete dato voi l'orario, posso sempre uscire di nuovo e-
- A dormire.-
-'kay. 'Notte.-
Holden si alzò per chiudere la porta.
-Non dire niente. Non dire niente. E' tutto troppo bello per essere vero.-
- Buonanotte. - gli disse solo sua moglie.
Lui neanche rispose. Spense la luce, pronto a godersi un sonno tranquillo e che durasse più di cinque ore.
Gli parvero trascorsi solo cinque minuti quando la sentì mettersi a sedere.
- Quinn.-
- Quel figliodiputtana sta uscendo dalla finestra.-
Holden alzò gli occhi al cielo senza aprirli, tese l'orecchio.
Paul aveva sedici anni ed era alto due metri. Sentiva distintamente il graticcio scricchiolare sotto il suo peso. Probabilmente lo sentiva anche suo nonno a Capital City.
- Ma come può anche solo pensare che non ce ne accorgiamo, trizio!- sua moglie sembrava più piccata da questo aspetto della questione.- Io ero più abile.- scese dal letto.
- Stai andando a mostrarglielo?- Holden la trattenne. - Lascialo fare, Quinn.-
-Ci sta prendendo in giro!-
- Proprio così.- la strinse, per impedirle di protestare. O di corrergli dietro.
- Holden, noi-
-Persi, amore mio, abbiamo portato i nostri figli in una riserva protetta. Lasciali sfogare, così poi a Ghandi li possiamo chiudere dentro per tutto l'anno. Che cosa rischiano mai, qui?-
- E' andato a bere coi suoi amici,lo so.-
- ...tu invece alla sua età andavi a catturare lucciole sulla collina.-
Sentì che sua moglie restava imbronciata per principio. Morse il broncio.
- Rilassati, dormi serena, ne hai bisogno.-
- Come diavolo fai a stare così tranquillo.Se lui non torna come faccio a saperlo!-
- Ho messo una sveglia tra due ore. Se non è in camera sua vado a prenderlo con la violenza.-
-...è anche per questo che ti amo.-
- Lo so, Persi, lo so.-
Paul Carter si affacciò alla tenda baldanzoso e fiero, sventolando una bottiglia del migliore whiskey reperibile durante una fuga dalla finestra. Impossibile descrivere la sua delusione quando trovò la tenda vuota.
- Dove cavolo è andata.-
Per un attimo pensò che non ce l'avesse fatta.
- Sono qui, spilungone.-
Cecilia Ritter era seduta su un masso e provava a centrare bottiglie vuote a forza di sassolini.
- Hai avuto problemi?- gli chiese, aprendo la bottiglia.
-No, nessuno si è accorto di niente. -Paul pareva particolarmente fiero della cosa.
-Jaden dov'è? L'hanno beccato?-
-Mh, no. E' salito sulla collina con la tipa di Cap City. Pare gli faccia vedere le tette.-
-Sei un bamboccio in un corpo enorme, Paul Carter.-
Paul ghignò un plateale inchino.
-Meglio, uno in meno con cui dividere- Cecilia era brava a trovare il risvolto pratico.
Metà bottiglia dopo erano scivolati giù dalle rocce in pose di relax piuttosto scomposte.
-Mia madre mi fa un sacco di domande.-
-Seh, anche la mia.-
- Dove sei stato, con chi, figlio di chi...pretende di conoscerli tutti.-
-Seh, anche la mia.-
- Voleva sapere anche a tutti i costi chi fossi tu, se potessi avere una cattiva...influenza.-
Risero entrambi un brindisi.
- Tu che hai detto?-
-Che sei una tipa morigerata. Non bevi, dai una mano a Saint Quentin-
-'ttanedaguerra, un altro sorso di questo e stringo la mano a Saint Quentin in persona.-
Holden si voltò a guardarla con gli occhi arrossati. Rise a lungo.
Si accorse che aveva un buon odore. Capelli morbidi.
- Che cazzo fai, Carter?-
Si rese conto di avere una mano sospesa a mezz'aria, verso i suoi ricci disordinati.
-Provavo se tante volte anche tu mi lasciavi toccare le tette.-
- Non ti prendo a sberle solo perché non beccherei la traiettoria.-
-Per quello c'ho provato ora.-
- Anche tu come traiettoria...quelli erano i miei capelli.-
-Ah.
- Sei maledettamente ubriaco,Paul.-
- Perché tu invece rientri a casa dalla porta principale, mh?-
Continuarono a insultarsi fino al fondo della bottiglia e un po' oltre.
Fortunatamente la sveglia di Holden Carter non aveva suonato.
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Solito posto, soliti amici
Holden Carter leggeva l'Herald nella poltrona che era stata di Paul Thomson con la sua stessa espressione un po' beffarda e un po' sorniona.
- Di fretta?- domandò con educata curiosità.
Suo figlio si era infilato un panino in bocca per intero. In compenso, non si era ancora infilato del tutto la camicia, ma già era con un piede fuori.
-fefo ddafe, eden fetta-
-Come darti torto.-
-eh, fao!-
-Paul.-
Paul Carter ebbe il buonsenso di interpretare. E di capire che stava per trascorrere le vacanze estive in officina con sua madre.
-Fi-
- Mastica, Paul.-
Paul deglutì anche.
- Sì.-
-Dove stai andando.-
- Jaden. E 'cilia. Al fiume.-
Paul Carter aveva sempre il buonsenso di dimostrarsi collaborativo e di prevenire domande scomode.
-Jaden Hunt?-
-Sissignore, sempre lui.-
-E chi è 'cilia?-
La domanda era arrivata dall'ingresso.
I due Carter si guardarono con espressione sconfitta.
-L'inquisizione.-
-Paul-lo ammonì suo padre.
-Voglio solo sapere chi è questa 'cilia.- Quinn Thomson allargò le braccia con fare innocente.- Stava per chiedertelo tuo padre.-
-Sì, ma lui non è così rompip-
-Come dici?-
-Niente, dicevo che non la conosci, non è di qua.-
Quinn Thomson aggrottò la fronte, Holden sospirò e tornò a sollevare l'Herald. Non sarebbe finita tanto presto. Soprattutto se sua moglie si metteva a fare la madre-amica.
-Beh, magari conosco il nome, se mi dici come si chiama...-
Appunto.
-Dai, non lo so, mamma, devo andare, Jade aspetta.-
- Non voglio che frequenti persone che abbiano una brutta influenza su di te. Dimmi chi è questa tipa, quanti anni ha, chi sono i genitori, o non esci di qua.-
Appunto.
Holden sperò di essere fagocitato dalla poltrona e di non essere chiamato in causa, per una volta.
- Il gruppo sanguigno ti serve? Le mando un cortex con la scheda da compilare.-
-Paul-
Lo avevano richiamato in sincrono entrambi i genitori. Quella di sua madre era un'ammonizione, quella di suo padre una preghiera.
Paul Carter pensò alla tenda, alla bottiglia, al saloon e a tutto il resto ed ebbe il buonsenso di prevenire scomode puntate in quei territori paludosi.
- Ha la mia età, è una normale, sta qua in vacanza, tipo, non lo so, mi pare si chiami Ritter, non beve, non si droga e ogni tanto dà una mano a Saint Quentin. Posso frequentarla senza rischi?- aveva mentito su metà degli argomenti e inventato l'altra metà. Avrebbe dovuto dirlo a Cecilia, per precauzione.
-Ritter.-
-Sì, mi pare-
-Cecilia Ritter.-
-Sì, posso andare?-
Paul era già con un piede sui gradini. Holden aveva messo via l'Herald e guardava sua moglie con aria curiosa.
-Vengo anche io.-
-Ma mamma! In quest'epoca uno non si porta dietro la madre quando esce! -
-Scusa, che male c'è, vengo solo a dare un'occhiata...-
-Papà!-
-Quinn-
-Paul!-
-Sarei parte della famiglia anche io. Mi chiamo Sarah.- Sallie Carter sedeva placida e ironica ai piedi delle scale, lanciando fette di salame a un festante cucciolo di bovaro che la inserì nel gioco abbaiando il suo nome. O magari intendeva dire "salame", ma a Sallie bastò-
- Se non ci fossi tu- gli disse.
- Dille qualcosa, papà-
-Sì...vai Paul-
- Ti ringrazio!-
Dal modo in cui sua moglie lo guardava, Holden Carter capì due cose:
1) non sarebbe comunque riuscito a fermarla
2) avrebbe dormito sul pianerottolo.
- Chiamala,no?-
Vide sua moglie esitare.
- Se non è lei?-
-Prova-
- Vado a casa loro. Se è chiusa non ci sono.-
-Quinn, chiamala.-
-Se mi dice che è in qualche punto sperduto del 'Verse poi mi viene da piangere. Vado a sellare il cavallo.-
- Non hai l'età per certe corse...-
Quinn Thomson mostrò a suo marito un chiarissimo dito medio.
Holden Carter sospirò.
- Da chi avrà mai imparato. - commentò Sallie melliflua.
Holden sbuffò una risata.
-Non c'è più l'educazione di una volta.- aggiunse lei.
-Proprio vero.-
-Io non sono così. Sono...educata, vero?-
-Nei giorni dispari, tesoro.-
Sallie non si scoraggiò.
- Beh, quindi stasera posso uscire.-
-No, tesoro, la punizione finisce tra quindici estati.-
Sallie Carter portò fuori il bovaro, rassegnata.
Holden rise. Prima di sparire di nuovo dietro le pagine dell'Herald gli tornarono in mente le parole di nonno Thomson:
"Vedi...la mia è una bella famiglia. Certo, sono tutti scombinati. Ma è una bella famiglia."
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Quando Paul Carter tornò a casa albeggiava quasi.
Sua madre lo aspettava seduta in veranda. Suo padre era accanto a lei, sul vecchio dondolo.
-Puzzi d'alcol.- gli fece sapere la donna, sollevata.
Paul rise. L'abbracciò come non faceva da tempo. Prese la tazza che suo padre gli porgeva, sparì all'interno.
- E' identico a tuo nonno.- constatò Holden Carter.
- Lo so.- Quinn Thomson offrì la sua tazza al marito.- Tanto lo so che gli volevi bene,in fondo-
Lui la prese, e fece scivolare l'altra mano lungo il suo braccio, fino a intrecciare le dita con le sue.-Molto- ammise. Baciò quella manina piccola e rovinata.- Ma più a tua nonna, in realtà.-
Risero.
-E...due.-
Sallie Carter non s'era ancora accorta dei genitori al varco, mentre rientrava ciondoloni e passabilmente sobria.
- Buongiorno anche a te. Fai colazione con noi?- la salutò sua madre.
Lei trasalì e tentò di dissimulare passando una mano tra i capelli biondi tagliati corti.
Nondimeno, ci provò.
-Io...mi sono alzata molto presto.-
Quinn e Holden si guardarono, compassati.
-Così presto che era ancora ieri mattina.- rispose suo padre con sussiego.
-Okay, stasera torno prima, eh? - anche lei baciò i genitori, trafugò anche l'ultima tazza e corse su per le scale fino al piano di sopra.
-L'hai sentita? Pensa davvero di uscire di nuovo, stasera.-
-Che tenera, eh?-
Quinn strinse la mano di suo marito, assorta.
- Te lo ricordi quello che ti ho detto la prima volta?-
-Che saremmo stati dei pessimi genitori?-
-Sì. Io ho sempre ragione.-
Sbuffarono una risata, fissando qualche punto imprecisato del ranch.
-Direi che ora possiamo anche andare a dormire, che ne pensi?-
-Penso che ogni tanto anche tu abbia ragione.-
Sparirono all'interno. Senza colazione.
I'd go for the wild horses
'Cilia e Paul si guardarono intorno, acquattati dietro un cespuglio. L'aria tiepida dell'estate si agitava sotto i loro vestiti sgualciti, da scappati di casa. Paul si chinò appena in avanti, a bersi una sorsata segreta del suo odore. Cecilia Ritter voltò il capo di scatto, ferendone gli occhi azzurri con il proprio sguardo tagliente.
-Cazzo fai?
Paul allargò gli occhi, seguendo una scia di vento
-Cerco di capire se l'aria tiri dalla nostra o meno. Non voglio mettere i cavalli in agitazione.
Appese lo sguardo fiero ad un gancio impalpabile nel buio, quindi raddrizzò la schiena. Lei lo fissò con un ghigno felino.
-Via libera.
Annunciò il ragazzo dai capelli biondi. Scattò in piedi, ma prima di riuscire a muovere un passo in avanti, si sentì una stretta di ferro intorno al collo. Si voltò, per incontrare il volto di un vecchio, dalla corportatura robusta, lo stetson calato quasi fin giù sugli occhi.
-Io l'ho detto. Miss Wilson, dannazione, i cani. Lei niente. E poi vedi che gentaglia ci si trova a circolare sulle terre di Mason.
-N...noi non....
Tentò di balbettare Paul
-Non non... Non f...
-Non stavamo facendo niente, 'kay?
Lo sguardo aggressivo e spaventato di 'cilia cercò quello di Sam. L'uomo lasciò andare il collo di Paul, tirandosi indietro di un passo per poterli guardare meglio. Alzò gli occhi al cielo, e si ritrovò a scuotere il capo, salutando il destino.
-Ritter... e Thomson?
La voce era esitante, ma negli occhi non c'era un'ombra di dubbio.
-Carter.
Lo corresse Paul.
-RitterSterling.
Lo corresse 'cilia.
-Vi dirò. I vostri genitori avevano affilato la tecnica, quantomeno. Voi sembrate due elefanti che tentano di nascondere le chiappe dietro ad un perizoma.
Lo fissarono piuttosto sconvolti. Non si aspettavano uscite simili dall'uomo dall'aria docile che ogni domenica sedeva due posti più in là rispetto a Roonamei Wilson sulla prima panchina di St. Quentin. Non sembrarono capire molto del suo discorso. Si guardarono, e l'elettricità si fiondò dal loro sguardo dritto giù nelle caviglie. Un secondo dopo, stavano volando per i campi, nel buio, respirando più aria in quella corsa di quanto non avrebbero fatto tutta una notte sui cavalli "presi in prestito" al Black Oak Ranch.
-Cazzo fai?
Paul allargò gli occhi, seguendo una scia di vento
-Cerco di capire se l'aria tiri dalla nostra o meno. Non voglio mettere i cavalli in agitazione.
Appese lo sguardo fiero ad un gancio impalpabile nel buio, quindi raddrizzò la schiena. Lei lo fissò con un ghigno felino.
-Via libera.
Annunciò il ragazzo dai capelli biondi. Scattò in piedi, ma prima di riuscire a muovere un passo in avanti, si sentì una stretta di ferro intorno al collo. Si voltò, per incontrare il volto di un vecchio, dalla corportatura robusta, lo stetson calato quasi fin giù sugli occhi.
-Io l'ho detto. Miss Wilson, dannazione, i cani. Lei niente. E poi vedi che gentaglia ci si trova a circolare sulle terre di Mason.
-N...noi non....
Tentò di balbettare Paul
-Non non... Non f...
-Non stavamo facendo niente, 'kay?
Lo sguardo aggressivo e spaventato di 'cilia cercò quello di Sam. L'uomo lasciò andare il collo di Paul, tirandosi indietro di un passo per poterli guardare meglio. Alzò gli occhi al cielo, e si ritrovò a scuotere il capo, salutando il destino.
-Ritter... e Thomson?
La voce era esitante, ma negli occhi non c'era un'ombra di dubbio.
-Carter.
Lo corresse Paul.
-RitterSterling.
Lo corresse 'cilia.
-Vi dirò. I vostri genitori avevano affilato la tecnica, quantomeno. Voi sembrate due elefanti che tentano di nascondere le chiappe dietro ad un perizoma.
Lo fissarono piuttosto sconvolti. Non si aspettavano uscite simili dall'uomo dall'aria docile che ogni domenica sedeva due posti più in là rispetto a Roonamei Wilson sulla prima panchina di St. Quentin. Non sembrarono capire molto del suo discorso. Si guardarono, e l'elettricità si fiondò dal loro sguardo dritto giù nelle caviglie. Un secondo dopo, stavano volando per i campi, nel buio, respirando più aria in quella corsa di quanto non avrebbero fatto tutta una notte sui cavalli "presi in prestito" al Black Oak Ranch.
Una quercia, una tenda, una bottiglia. Again.
Paul Carter era ubriaco, senza mezzi termini.
Cantava da circa mezzora una canzonaccia da saloon al suo cavallo nella speranza di indurlo a trovare la strada di casa.
Al trentaquattresimo ritornello che si mescolava alle strofe in nuove sonorità esilarati, fu costretto a capitolare.
-Hey amico, ti ringrazio, io mi fermo qui, eh?-
Il suo cavallo parve non avere nulla da obiettare.
Paul si lasciò cadere tra l'erba. Sopra di sé l'ombra ampia ad ombrello di una quercia enorme.
-unhombrello.- rise.
Jaden Hunt lo avrebbe recuperato presto, come ogni volta.
Riprese a cantare le sue canzonette sconce e a riderci su.
Aveva sete.
Sentì la lampo di un vestito aprirsi, l'abito scivolare lungo le curve sinuose di una...
-Hey-
-Mh-
-Hey-
Era una voce insistente. Paul la vide di sotto in su. Era la ragazza del mercato. L'aveva vista bere al saloon.
-Questo è il mio territorio. Sta' zitto.- agitò le mani, come a voler abbracciare tutto il creato.- Ho mal di testa.-
-Mhmh- Paul rise.-Sei venuta fuori da un albero?-
-No, idiota, da una tenda.-
Paul si alzò su un gomito per vedere la tenda, ma si girò troppo in fretta. Rise mentre la quercia gli roteava sopra.
-Io sono Paul. Carter. Il cascamorto.-
Silenzio.
Cerniera.
- E tu sei andata via.-
Aprì gli occhi solo per trovarsi davanti una bottiglia. Alla fine della mano della ragazza. Alla fine del suo braccio. Alla fine del suo corpo. Fuori dalla tenda, sì. Sotto la quercia.
-'cilia. Ritter. Credo.-
Sentì il peso del suo corpo crollare al suolo come un sacco di patate.
-Come, "credo"?- Paul ghignò.
-Che ne sai. Come fai...a dire con certezza. Che non sono io Cecilia Carter. E tu...tipo. Paul Ritter. Mh?-
Era ubriaca marcia.
Paul glielo disse.
-Beh, anche tu.- gli fece notare lei sportivamente.
Lui le ripassò la bottiglia.
- Cecilia Carter. Suona bene. E' un nome che ho già sentito. Ci sposiamo? C'è il mio cavallo, da qualche parte che potrebbe officiare il rito.-
- Dici un sacco di cazzate, Carter.-
- Beh, anche tu.- le fece notare lui sportivamente.
-Mh.-
-Senti. Mai più. Mia madre mi ammazza se torno a casa così.-
- Seh. Anche la mia. Se riesci a stare zitto cinque minuti magari passa, uh?-
Paul Carter rimase zitto per cinque minuti.
Poi riattaccò con la canzone del saloon.
La voce di Cecilia Ritter si unì presto alla sua.
Non beccavano una nota.
In compenso, non saltarono un turno nel passarsi a vicenda la bottiglia.
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Prove generali pt. 2
Cecilia Ritter (o Cecilia Sterling, a seconda delle rivendicazioni materne) entrò imprecando tutte le puttane da guerra della giornata.
Al saloon c'era sempre gente a sufficienza da costringerla a qualche stancante occhiata in cagnesco, condita d'un ghigno strafottente e selvatico.
I capelli ricci, d'un castano intenso, non incontravano un pettine da tempi non sospetti. Decisamente alta, decisamente magra, camminava dentro ai propri jeans strappati ostentando una grazia istintiva, una delicatezza francamente assurda, data l'apparenza scapigliata.
Si sedette sullo sgabello, al bancone, aggrovigliando le gambe sotto al sedere con pigra agilità. Le dita stropicciavano infastidite la maglietta macchiata di caffé.
-Puttanedaguerra...
Ripetè, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Jimbo, dall'alto dei suoi innumerevoli anni, la scrutò con una certa, rustica simpatia. Si appuntò su di lei qual tanto che bastava a farsi un quadro generale esauriente del tipo in questione. Dopo secoli, di lavoro tra ubriachi, risse e pallottole aveva appreso una certa dimestichezza con l'interiorità umana.
-Una birra
Domandò la ragazza, col solito tono trascinato e spavaldo. I tratti dolci del volto cozzavano con lo sguardo schivo e affilato. Le dita lunghe cavarono un pacchetto di sigarette dalla tasca e ne brandirono una con determinazione. Quando giunse l'ordinazione, Cecilia stava già fumando, adagiata sul proprio cruccio infantile e capriccioso. Si butto sul boccale come un'ape in un secchio di miele, tenendo sollevata la cicca nella mano libera.
Cecilia Ritter beveva ad una velocità disarmante, nonostante il faccino, nonostante i movimenti naturalmente aggraziati.
- Che c'è? Problemi?
Chiese, quando si accorse che Jimbo la fissava tra un bicchiere lavato e l'altro asciugato. Il barista non parve risentirsi del suo tono strafottente, anzi.
- Più cresci, più assomigli a tua madre
Cecilia guardò il vecchio, poi la propria birra, poi il vecchio. E si esibì in una plateale alzata di spalle, senza commenti di sorta. Era evidente che i due si conoscevano. La ragazza non doveva essere nuova, di quelle parti, a giudicare dalla conversazione. Almeno, a grandi linee.
- A proposito, come sta?
Cecilia posò il boccale, passando la lingua sulle labbra. Gomiti puntati sul banco, schiena incurvata data la posizione non proprio educata. Si concesse la briga di rispondere sapendo che l'autonomia verbale di Jimbo, a cui l'età aveva conferito una sorta di aura sacrale, si sarebbe esaurita in poche battute.
- Siamo tornati qua da poco. Ed Eir sta... bene. Almeno, quarantacinque minuti fa stava bene. Adesso, chi lo sa. A mia madre servono molto meno di tre quarti d'ora, per mettersi nei guai.
Sorrise. Ed il sorriso era, chiaramente, quello di Sterling, benché il sarcasmo fosse in gran parte farina paterna. Jimbo si ritenne soddisfatto delle spiegazioni; stava giusto per scomparire nelle cucine quando Cecilia lo fermò, appuntandogli una domanda sulla schiena.
- Conosci un certo.. Paul?
La buttò lì, con l'aria distratta di chi pretende tu creda al suo disinteresse.
- Solo in questo posto lavorano due Paul
- Il mio è biondo, capelli lunghi, coetaneo, faccia da schiaffi...
- Il tuo?
La puntualizzazione la portò a trasalire.
- Sì, cioè... no, no... non mio in quel senso... no, eh...
Cecilia si incupì, tirando in secca il proprio orgoglio ferito. S'attaccò al filtro, scivolando giù dallo sgabello lentamente, ma con determinazione scontrosa. Fingendo totale distacco, posò qualche dollaro per saldare la consumazione e si avviò all'uscita.
Prima di guadagnare l'esterno, fece in tempo ad elargire un'ennesimo dito medio, a chiosa d'un commento audace sul suo di dietro.
Pessima giornata, Ritter. Pessima.
Pessima giornata, Ritter. Pessima.
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mandag 11. juni 2012
Prove generali
Paul Carter era giovane, entusiasta e con una sconfinata fiducia nell'esistenza.
Era anche piuttosto su di giri perché era la prima volta che tornava a Oak Town dopo tempo.
Il tempo dell'incoscienza, tipo.
Passò una mano tra i capelli biondi e lunghi e si avviò tra la folla, nella piazza del mercato baciata dal sole.
Aveva indossato una tipica camicia a quadri da ranchero, jeans sdruciti e stivali, con grande trasporto e ogni intenzione di integrarsi appieno. Tutto sommato, si sentiva un gran pezzo di figo.
La prima fermata fu senz'altro al banco delle armi. Era una giovane fanatico e ingenuo, e sognava di diventare una promettente guardia del corpo, come suo nonno prima di lui. Senza alcun dubbio, quella sarebbe stata anche l'ultima fermata se non avesse sentito qualcosa di estremamente interessante:
-...TTANEDAGUERRA.-
Si voltò appena in tempo per non perdersi una sonora alzata di dito medio a un gruppo di ragazzini dispettosi.
L'autrice era una tale dall'aria selvatica.Piuttosto carina, va detto. Aveva un nasino delizioso.
E la maglietta sporca di caffè bollente.
-Che c'è? Ne vuoi uno anche tu?-
Si era accorta che lui la stava guardando.
Paul le offrì un fazzoletto.
-Mia madre lo dice sempre. Puttanedaguerra.-
- Seh- convenne lei, pulendosi di malagrazia.- anche la mia.-
- Io sono Paul.- si presentò lui con un sorriso smagliante.
-Mh. E fai il cascamorto di professione o segui l'ispirazione del momento?-
Gli piazzò in mano il fazzoletto macchiato, in faccia due occhi verdissimi da fiera, e si allontanò. Almeno, gli risparmiò un dito medio.
Paul, un po' frastornato,la guardò dileguarsi tra la folla con un sorriso vagamente ebete.
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